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analisi critiche e rassegne 157

più volgari, non c’è neppure alcuna difficoltà a trasformare, non solo tutto le produzioni, ma anche tutti i prodotti l’uno nell’altro, per es. i diamanti in pane o i pizzi in birra. Queste transustanziazioni si fanno, secondo loro, mediante il processo misterioso della vendita e della compera. Si vendono i diamanti e i pizzi, e, col prezzo ricevuto, si compera del pane; o si mettono lo somme a interesse, e si compera il pane con ciò che rendono. Questo errore è uno dei più gravi nell’economia politica contemporanea. Tutto ciò che vi è di ottimismo utopico presso gli autori che vogliono migliorare la società; tutto ciò che vi è di pessimismo esagerato presso i conservatori, si basa, in ultima analisi, sulla ignoranza della non trasformabilità delle produzioni o dei prodotti. Si vedono dei ricchi ornati di gioielli o di pizzi, o delle statue di santi, ornate di pietre preziose, e si denuncia questo lusso come barbaro di fronte ai poveri affamati. Gli entusiasti vorrebbero correggere immediatamente questa ingiustizia trasformando i prodotti, cioè tali pietre o tali pizzi, in pane, col procedimento misterioso sopra accennato. Questo non è solamente il consiglio dei socialisti rivoluzionarli contemporanei ma è altresì il ritornello di una quantità di moralisti o di predicatori, dopo l’apostolo che ha detto: «Perchè non si rendono questi unguenti preziosi distribuendone il prezzo ai poveri?» Questi uomini di buona volontà dimenticano che la vendita suppone uno che comperi e che se è male usare d’una data merce, è un male più grande ancora il venderla; poichè con ciò si induce uno dei propri simili a commettere lo stesso peccato».

I socialisti arrivano a causa di tale ignoranza a negare perfino la possibilità d’un eccesso di popolazione. Se con un dato lavoro si produce una data quantità di pane essi ritengono che per produrne mille volte di più basti solo un lavoro mille volte più grande.

L’A. si domanda quale sia la condizione che deve essere soddisfatta perchè due quantità, equivalenti in valore di scambio, di due diverse merci, possano ritenersi come trasformabili l’una nell’altra, perchè cioè si abbia ragione di credere che la produzione dell’una possa essere ottenuta col solo rivolgere a tale scopo il lavoro che direttamente o indirettamente era diretto alla produzione dell’altra.

La risposta da lui data a questa domanda consiste nel dire che perchè ciò abbia luogo, occorre che, per le due merci, si abbia una stessa proporzione tra la quantità di lavoro e la quantità di «terra», che sono richieste alla loro rispettiva produzione, intendendo con «terra» l’insieme delle risorse naturali, limitate in quantità, di cui (come appunto della terra nel caso dei prodotti