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golfo di Napoli, gli rievocava sempre in seguito, ogni volta che lo risentiva, la stessa bella veduta.

Ora, l’autore insiste su questo, che consimili «disposizioni di irritabilità», certamente non acquisite durante la vita dell’individuo, si manifestano in tutti gli organismi viventi. Gli esempi più caratteristici ci sono offerti degli istinti: In una gazza di cinque settimane, che non aveva ancora mai fatto un bagno, il semplice beccare per la prima volta l’acqua d’una ciotola rievocò la sensazione e provocò gli stessi effetti d’un bagno completo; infatti essa si mise a fare tutti quei gesti di rannicchiare il capo, sbattere le ali, e via dicendo, che gli uccelli usano di eseguire appunto nel bagnarsi.

Ma non solo nei fenomeni ontogenetici d’ordine psichico, quali gli istinti, bensì anche nei morfogeni propriamente detti si hanno manifestazioni di «disposizioni di irritabilità», pure non acquisite in vita: Così, p. es., in certi anfibi, il semplice contatto coll’aria atmosferica basta a provocare la loro metamorfosi da organismi branchiati a pulmonati; se impediti di uscire dall’acqua e di venire a contatto neppure parzialmente coll’aria, essi restano branchiati tutta la vita.

Dunque si ha qui, dice il Semon, anche in tale fenomeno ontogenetico morfogeno, una vera e propria «disposizione di irritabilità», che il contatto dell’aria non fa che «svincolare». E con gran numero di altri esempi consimili l’autore cerca di dimostrare che, non questo o quel fenomeno particolare soltanto dello sviluppo, ma tutta quanta l’ontogenesi altro non sia che una serie di svincolamenti successivi di altrettante disposizioni specifiche di irritabilità.

Tale in strettissimo riassunto la tesi del nostro autore. E ben si può dire egli sia riuscito, se non a dimostrarla, a darle per lo meno, in modo molto suggestivo, l’aspetto di grande probabilità. Quanta importanza tale risultato abbia per sè stesso e per la questione strettamente connessavi della trasmissibilità dei caratteri acquisiti non occorre qui rilevare espressamente.

Invece, certo non si può dire altrettanto riuscito il tentativo da lui fatto di spiegare questa proprietà mnemonica della sostanza vivente in generale e dello sviluppo ontogenetico in particolare.

Infatti, mentre per i comuni fatti della memoria si osserva una vera e propria localizzazione, egli si crede invece costretto a negarla pei fenomeni di memoria filogenetica determinanti l’ontogenesi, visto che non già il soma nella sua integrità, ma solo una minima sua parte, il solo germe, può esserne il trasmettitore. E così, al principio della localizzazione sostituisce quello di una irradiazione e diffusione, — via via decrescente in intensità ma