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316 | rivista di scienza |
Talvolta l’uno stato ha coscienza dell’altro, ma quest’ultimo non ha coscienza del primo. Così p. es. la giovane donna ad esistenza doppia del Dr. Azam «presentava uno stato normale, sebbene esso pure patologico perchè la donna era isterica, e uno stato in cui essa si mostrava del tutto diversa per il carattere e per le idee. In questo secondo stato essa si rammentava di ciò che aveva fatto nel primo, mentre che quando essa ritornava in questo perdeva completamente la memoria di quanto aveva detto e fatto durante l’altro periodo mentale. Vi erano in lei come due persone distinte, e questa alternanza di personalità presentava un’analogia significante col sonnambulismo naturale, senza che però questa giovane donna fosse sonnambula propriamente»1.
Nessuno più di questi esempi, che potremmo moltiplicare a piacere, è atto a mettere in evidenza come ciascuno stato psichico di per sè stesso non sia nè cosciente nè incosciente, ma divenga l’uno o l’altro soltanto rispetto a qualche altro stato psichico di riferimento. La coscienza, in altre parole, non è alcun carattere a sè che possa essere rivestito da uno stato psichico per conto proprio ed esclusivo, bensì è la caratteristica d’un rapporto fra due o più stati psichici. Uno stato psichico, anche se considerato isolato, potrà venir sempre riconosciuto, ad es., come avente un dato carattere emotivo piuttosto che un altro, come imaginativo anzichè volitivo, e così via; non potremo mai dire, invece, finchè isolato, se esso sia cosciente o incosciente. Soltanto se riferito a un altro stato psichico potremo dire che, rispetto a quest’ultimo, esso è cosciente o incosciente. E se cosciente rispetto a uno stato psichico A, potrà essere incosciente rispetto a un altro stato psichico B.
La coscienza non è dunque nessuna proprietà intrinseca o assoluta degli stati psichici; bensì una proprietà ad essi estrinseca e relativa, che si accompagna a certe modalità di riferimento che questi stati psichici vengono ad avere fra loro.
- Milano.