Vai al contenuto

Pagina:Rivista di cavalleria (Volume I, 1898).djvu/308

Da Wikisource.
306 rivista di cavalleria

mente dice, ed anzi avremmo la parola più faconda per poter dire di più, ma oggi i fatti ci arrestano tale parola sulle labbra.

Se questi fatti non avvenissero, se l’assurdo principio ammesso dagli accentratori, cioè che il grado di capitano nell’arma può e deve essere raggiunto da qualsiasi subalterno, fosse sfatato, se divenisse canone imprescindibile che il capitano di cavalleria debba assolutamente essere un vero valore, e non un automa che ha bisogno di essere legato alla corda del comando, allora, ma allora soltanto potremo dire ai comandanti di reggimento: «dateci l’iniziativa e l’autonomia che ci abbisognano».

È da questo punto che devono partire le recriminazioni per il nocivo accentramento, è questo il campo sul quale si devono chiamare a combattere gli oppositori non concessionari, perchè solo qui troveremo la parte debole da sorprendere e da percuotere.

Sono gli inetti, sono i così detti semplici esecutori di ordini, le così dette brave persone che inconsciamente fanno causa comune cogli accentratori e costituiscono in mano ad essi un’arma potente, che impediscono il decentramento; strappiamo quest’arma, diciamo ai nostri superiori che ci pesino sulle bilance delle odierne esigenze, che si tolgano d’attorno gli elementi non atti alla iniziativa e che non si lascino intenerire dalla voce di una malintesa pietà.

Su questo lavoro coscienzioso si deve insistere, questa è la cura radicale per poter avere quanto l’autore reclama, poichè se l’iniziativa e l’autonomia venissero concesse oggi nelle condizioni in cui ci troviamo, il principio stesso sarebbe mortalmente colpito.

Quando i fatti dimostreranno la capacità assoluta di tutti i comandanti di squadrone, quando gli accentratori non potranno più, in appoggio alle loro idee, sfoderare quest’argomento principe, e, bisogna convenirne, fin ad ora inoppugnabile, il decentramento verrà volenti essi o nolenti, ed il regolamento ammetterà la sanzione coi fatti di quanto ha proclamato come principio.

Ci si potrà opporre che la eliminazione dell’elemento non atto verrebbe man mano chiaramente suggerita nel seguire il metodo, ma ormai che tutti ci conosciamo sappiamo come non abbisognino prove ulteriori per aver l’equa misura negli apprezzamenti.

E gli ufficiali superiori, specialmente i colonnelli, conoscono molto bene i loro dipendenti, e sanno ben loro discernere tra il semplice esecutore d’ordini e quegli cui bastano le sole direttive; la questione ora sta nell’esaminare quale dei due sia preferito nei reggimenti. L’esame è breve, e noi, si può dire, l’abbiamo già dichiarato.

Sovente le note caratteristiche rappresentano il sugo di svariate considerazioni, mentre di considerazioni non ve ne dovrebbero essere: o si è capace del comando di uno squadrone in guerra o non si è capace.

A pesare giusto ci vogliono le subitanee ed improvvise ispezioni, fuori, in aperta campagna, di fronte ad una supposta situazione di guerra, per vedere come il capitano ha saputo condurre il suo reparto,