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la cavalleria in africa 31


Poteva lo squadrone, spossato omai dopo tanto galoppo e carriera su quel terreno, appena riordinato riprendere l’offensiva? No; nè poteva certamente appiedare, nè attendere da pie’ fermo colla sciabola in pugno il nemico.

Non è forse il caso di studiar bene la cosa, e di provvedere anche regolarmente, se non convenga oggi, specialmente col moschetto a ripetizione, e di lunga portata, in alcune circostanze di tempo e di luogo far fuoco a cavallo?


IV.


Ed ora entriamo in un terreno più difficile per la cavalleria, nel teatro di guerra meridionale.

Nel combattimento di Coatit e Senafè del gennaio dell’anno appresso prende parte un sol plotone di cavalleria, che fu in principio impiegato nel servizio di corrispondenza e di guida. Nè il suo impiego sarebbe stato efficace nel combattimento in causa dell’esiguità del reparto, e della conformazione del terreno stesso, tutto collinoso che ad Est e a Nord-Est di Coatit scende dapprima in una insenatura ondulata, per risalire e declinare poscia di nuovo, verso oriente, a balze più o meno pronunciate; vero terreno da altipiano etiopico, sconvolto e sassoso, interrotto da fossi, spesseggiante di sterpi, massi e cespugli.

È certo però che nell’inseguimento, se si avessero avuti un paio di squadroni a disposizione, questi avrebbero potuto almeno tenere il contatto, e riferire che Mangascià a tarda sera, al sorgere della luna, con tutti i suoi guerrieri era già partito per Digsa. Invece il contatto fu perduto completamente, e non si seppe che a mezzanotte della fuga del Ras, da un prete cofto, intromessosi come paciere tra il generale italiano e Mangascià.

E che il terreno, sebbene difficile, fosse percorribile dalla cavalleria, ce lo dimostra la ricognizione del tenente Ferrari, che se non potè spingersi troppo avanti, fu in causa dell’esiguità della forza del suo reparto, che non gli permise di distaccarsi troppo dal grosso.

E qui scompare dall’orizzonte etiopico, dalla parte italiana, la cavalleria.