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così privatamente, guadagnandosi di che vivere colla vendita di qualche capo d’arte che ancora gli rimaneva, finché nel 1642, volendo fare un ultimo tentativo presso la Corte imperiale, si recò a Vienna in compagnia di un suo figlio. Colà, facendo valere tutti i suoi diplomi e privilegi, intercedette da prima per riavere il principato, poi si accontentò di chiedere le allodiali, in fine discese a chiedere gli alimenti; ma tutto gli fu negato. Ritornò scoraggiato e deluso a Mantova, dove passò altri tre anni nella miseria e nell'avvilimento, finché mori nel 1645.

Siro di Correggio, fu chiamato il falsario per eccellenza, e si disse che egli sorpassò tutti i suoi coetanei nel contraffare i tipi delle monete italiane ed estere in credito a quel tempo e nello speculare vergognosamente sulla lega dei metalli nobili. Forse però egli non fu più colpevole della maggior parte dei signorotti del suo tempo, i quali tutti, al par di lui, imitarono i tipi specialmente delle monete estere, frodando sul titolo dell’oro e dell’argento, come ad esempio quelli contemporanei di Messerano, Tresana, Desana, Frinco, ecc., ecc., i quali suscitarono spesso le più vive rimostranze de’ loro Sovrani, che di tanto in tanto si trovavano costretti a pubblicare de’ bandi per proscrivere dal mercato una buona parte delle loro monete, inferiori di titolo a quanto prescrivevano le leggi. In ogni modo la colpa degli abusi verificatisi nella coniazione delle monete di Siro va in gran parte attribuita a’ suoi zecchieri, i quali non rispettando i capitoli stipulati col loro Signore, specularono per proprio conto sulla zecca, tanto da meritarsi un dopo l’altro il licenziamento. Forse fu Siro un capro espiatorio per tutti, e la condanna inflittagli fu un avvertimento e una minaccia per tutti gli altri.