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cui Quintillo sali al trono, la zecca d’Antiochia si trovasse già nelle mani di Zenobia, e Vaballato vi coniasse le sue monete.

Io confesso francamente che la storia, quand’è in contraddizione colle monete, non può avere per me un’autorità indiscutibile.

Se già non si può credere ciecamente alle notizie degli storici più antichi, che pure sarebbero stati nelle condizioni più favorevoli per narrarci soltanto la verità, — quantunque anche essi avranno dovuto accontentarsi talvolta di tradizioni orali, — e se non è raro il caso che quelle notizie si trovino fra loro in palese contraddizione, tanto più à difficile che giungano gli storici recenti ad appurare la completa verità, in argomenti così dubbii e dopo tanti secoli, benché non si possa negare che essi appunto, collo studio profondo degli storici antichi, colla coscienziosa ponderazione di tutte le circostanze e con ingegnose combinazioni, procurino con maggiore o minor fortuna, di far la luce nelle molteplici contraddizioni che si riscontrano nella storia.

Tale lavoro, a dir vero, non dà risultati che compensino le molte fatiche, se non quando può essere coadiuvato dalle monete, poiché solo queste, come testimoni parlanti, sono in grado di appianare le contraddizioni e di far trionfare inoppugnabilmente la verità.

Per questo, dopo matura ponderazione, quando dovevo basarmi su date storiche mi sono attenuto al Bernhardt1, le cui acute combinazioni si accordano singolarmente colle monete, in quei casi appunto nei quali vi sarebbero da appianare contraddizioni.

Mentre alcuni storici pretendono che i Persiani non si siano impadroniti di Antiochia che una volta sola, e discordano fra loro nell’indicarne l’epoca, anche il sig. Lépaulle è evidentemente persuaso che ciò accadde due volte, vale a dire la prima sulla fine del 258 o sul principio del 259, e la seconda subito dopo la cattura di Valeriano, sulla fine del 259 o sul principio del 260, — ma, su questo punto, si trova in contraddizione

  1. «Storia politica dell’impero Romano da Valeriano sino all’assunzione di Diocleziano al trono», per Teodoro Bernhardt (Berlino, 1867).