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congetture sull’attribuzione, ecc. 213

il patto letico, gli richiese Ravenna e le altre città e terre imperiali contro pagamento delle spese. Cui Pipino rispose che per nulla al mondo avrebbe ritolto a S. Pietro ciò che gli aveva dato (Obtulit dice il succitato biografo), né si dà che ciò che si possiede.

Nel trattato di pace con Pipino, Astolfo conferma i patti di prima, ma la restituzione non ha luogo direttamente da longobardi a romani, bensì ad recipiendas ipsas civitates il re dei franchi delega l’abate Fulrado suo consigliere, il quale accompagnatosi con messi di Astolfo, entrando di città in città ne riceve ostaggi e le chiavi delle porte, finché giunto a Roma depone le chiavi una cum donatione a suo rege emissa nella confessione di S. Pietro.

Fuvvi dunque un tempo breve o lungo, non monta, nel quale i re franchi patrizi dei romani ebbero l’effettivo possesso di Ravenna e delle altre città dell’Italia centrale loro cedute dai longobardi col trattato del 756.

Mi par quindi niente affatto improbabile che durante questa, sia pure effimera signoria, eglino vi avessero ad esercitare atti di vera sovranità e fra altri quello di coniar moneta. Tanto più che l’attestare con documenti pubblici e solenni il possesso reale, benché temporaneo di quei territori, dimostrando il proposito di difenderli, sarebbe stato argomento opportuno a contenere i longobardi e rassicurare pienamente i romani1.


  1. Che i romani fossero stati fino allora mediocremente persuasi, non della fedeltà, ma della premura dei re franchi per loro, traspare dalle lettere di papa Stefano II a Pipino ed ai figli, di giugno e luglio 765 e febbraio 756 tolte dal Codice Carolino e riprodotte da C. Troya nei Documenti diplomatici longobardi ai N. 692, 694 e 696.