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l’estrema rovina della Repubblica. “Ciò, che fino ad ora non han potuto fare in eccidio de’ Veneti nè la Maestà Cesarea, nè gli altri confederati, fu compiuto, scriveva egli a Carlo nipote di Massimiliano, dal loro generale, il quale li trasse per la seconda e ultima volta a vera distruzione. Onde è che all’Alviano, ossia ch’egli viva, ossia ch’egli muoia, devesi erigere dai Veneti una statua con la scritta: al distruttor della patria”.1. Non è già che quel disastro incutesse negli animi così profondo lo scoraggiamento da far disperare della salute della Repubblica; ma doveva, com’è facile immaginare, mettere tanto viva la compiacenza nel cuor di Massimiliano, per le cui armi riconoscevasi, in parte, l’esito della giornata campale, da fargli giganteggiare nella mente il concetto, adombrato nel rovescio della medaglia per consiglio forse e per opera del Bannissio stesso, che lo aveva già espresso a parole.


Tutte queste, ch’io son venuto di mano in mano esponendo, non sono del resto che congetture più o meno ragionevoli, più o meno prossime al vero. Di incontestabile affatto rimane che la medaglia fu coniata in onor del Bannissio. Quello, che ignorasi del tutto, è invece il nome dell’artefice. Si sa di certo che il Cancelliere, durante il periodo delle guerre, combattute contro la Repubblica di San Marco, ebbe occasione d’accompagnare più volte in Italia il suo signore. Delle città di terra ferma, sottratte alla

  1. Le Glay, Négociations, etc. Tomo I, p. 552. Parigi, 1845,