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512 nicolò papadopoli


È degno di essere notato il modo insolito con cui sono disposte le iscrizioni su questo sigillo. Presso al Santo ed al Doge sta scritto il nome e la qualifica di ognuno dei due personaggi, ma parte dell’iscrizione è posta a destra, parte a sinistra della stessa figura, ciocché lascia supporre che in tempi più antichi essa dovesse correre tutt’attorno la testa come si vede in alcune immagini di santi bizantini. Nel grosso e nei sigilli posteriori fu ancora modificata la forma delle iscrizioni, ma lungo l’asta dello stendardo restarono le tre lettere d v x, l’una sotto l’altra, in una posizione che non ha altri esempî e tale che non si saprebbe indovinarne l’origine, se non si conoscessero questa ed altre bolle, che mostrano la genesi e le successive modificazioni di tale scritta.

Come abbiamo visto la nuova moneta istituita da Enrico Dandolo ebbe i nomi di Ducato e di Matapan, ma il suo nome proprio usato in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, e che riscontrasi esclusivamente nei documenti, fu quello di Grosso: onde mi par bene conservarlo a preferenza di tutti gli altri, avendo esso attraversato, senza alterazioni, tanti secoli nella bocca del nostro popolo.

Il valore originario del grosso fu di ventisei piccoli o denari, come affermano i cronisti Andrea Dandolo e Marin Sanudo e come ci vien confermato dall’esame del peso e dell’intrinseco della moneta.

Possiamo esattamente rilevare il peso del grosso da un documento autentico ed ufficiale, quale è il Capitolare dei Massari alla Moneta, compilato nel 1278, dove sono raccolte le deliberazioni dei Magistrati che si riferiscono alla zecca. Alla fine del primo capitolo