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di un gran bronzo inedito del nômo tanite 469

con paludamento, imbracciando lo scudo colla destra e reggendo colla manca un trofeo. A sinistra un’ara da cui si eleva la fiamma.

(Collezione Bosso).


Come si vede, la leggenda è sgraziatamente sciupata là dove appunto importerebbe che fosse più chiara e distinta, cioè al principio del nome stesso del Nômo. Ciò che si legge in modo indiscutibile non è infatti che la terminazione ΝЄΙΤΗС, la quale tuttavia non può convenire che a due soli Nômi d’Egitto, cioè al Tanite od al Tinite.

Ma un esame accuratissimo della moneta conduce ad intravvedere, prima del ΝЄΙΤΗС, le traccie di un’alfa, preceduta alla sua volta, sembra, da un tau; e, se il tau è incerto e affatto nebuloso, l’altra lettera, sotto alcuni angoli di luce, diventa leggibile per alfa, quasi con piena sicurezza, e ad ogni modo non può leggersi assolutamente per iota, ciò che esclude l’attribuzione al Nômo Tinite.

Il gran bronzo della Collezione Bosso dovrebbe quindi appartenere al Nômo Tanite: e tale attribuzione sembra evidente ed inoppugnabile al chiarissimo Prof. Postolacca, insigne conoscitore della numismatica dei Nômi egiziani, al cui autorevole giudicio ebbi la fortuna di poter ricorrere durante un mio recente soggiorno in Atene.

La figura stante, che spicca nel rovescio, sarebbe, se non m’inganno, il dio Horo, sotto la forma di “Horo vittorioso”, assimilato a Marte dai Greci1 .

Il dio è rappresentato nel nostro gran bronzo sotto l’aspetto di un giovane imberbe, in costume

  1. Il dio Horo assume forme svariatissime a seconda dei diversi culti locali, talchè i Greci, imbarazzati da queste continue trasformazioni, lo assimilarono, talvolta a Marte, tal altra ad Apollo, ad Ercole, ad Anteo.