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194 francesco malaguzzi valeri

colo e mandò ambasciatori al duca d’Urbino per cercare di allontanare la tempesta. Ma vedendo quegli fermo a voler attuare i desideri di Giulio II e l’Estense impotente a difenderla, s’arrendeva senz’altro all’obbedienza del papa. Il Consiglio della città, il giorno 18 luglio dello stesso 1512, delegava alcuni ragguardevoli cittadini a recarsi a Roma ad impetrare dal nuovo signore i capitoli sui quali basavansi i diritti e le guarentigie della città e tra quelli la facoltà di continuare a batter monete legali d’oro e d’argento.

Dopo non brevi pratiche col cardinale di Pavia, delegato dal pontefice all’esame dei trentaquattro capitoli presentati, gli ambasciatori reggiani ottennero quanto chiedevano e con breve del 5 ottobre 1212 Giulio II accordò e sottoscrisse i capitoli1.

Il diritto di batter moneta fu così salvato anche questa volta a Reggio che però non approfittò del vantaggio almeno riguardo alle monete d’oro e di argento. La sola zecca dei bagattini, per tutti gli undici anni in che durò la dominazione pontificia, rimase attiva, come vedremo, ed è quindi di questa sola (sempre distinta come si ebbe occasione di notare altra volta, dalla principale) che per questo periodo noi ci dovremo occupare.

Per questa ragione quindi, al contrario di quello che accadde in città vicine, il periodo pontificio della zecca reggiana non desta interesse e le sue vicende sono poche.

Nel 1513 il Comune concedeva a Giacomo Martelli (che già vedemmo nello stesso ufficio nel 1486) l’appalto dei bagattini, dietro compenso di sei

  1. Lino Chiesi, Reggio nell’Emilia sotto i pontefici. Reggio Emilia, Tip. Calderini, 1892.