Pagina:Rovetta - Baby e tiranni minimi.djvu/168

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168 tiranni minimi

sempre colla sua vocina da pecora, «cercate, santa pazienza, di metter giudizio!» Ma dette queste parole sparì subito dietro l’uscio, che si richiuse con grande sgomento della fanciulletta, che si vedeva nuovamente abbandonata sotto le granfie della padrona.

Eppure Agnese, o la bambinaia, come la chiamava la contessa Orsolina, aveva avuto in casa Portomanero i suoi giorni buoni di felicità e di gloria; ed erano stati i primi appunto, in cui, dopo aver lasciato il verde paesello del Tirolo, i prati odorosi, le rocce bigie di granito, era scesa a Verona ed era venuta a servire e a stentare, in un quartierino privo d’aria e di luce, che sapeva di muffa.

La Contessa si faceva provvedere il personale di servizio da una sua amica che abitava Trento: e ciò perché le tirolesi sfacchinavano il doppio delle altre, e avevano minori pretese pel vitto e pel salario. Di più, essa voleva che non avessero mai servito, così non erano ancora ammalizzite e le poteva meglio governare.