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168 giulietta e romeo


SCENA IV.

Una strada.

Entrano Mercuzio, Romeo, Benvolio con cinque o sei maschere, e alcuni altri che portano torcie.

Rom. Questo solo dunque diremo per iscusarci? con tal grama apologia aonesteremo la nostra entrata?

Benv. Il tempo delle lunghe arringhe passò: ora non è più quello. Non avrem quindi un bendato Cupido, che con arco alla tartara, di dipinto legno, vada a spaventar le signore1; nè pròferir ci converrà un prologo mutilato, quale lo suggerisce un goffo rammentatore. Ci misurino cogli occhi da capo a’ piè, se il vogliono: noi faremo lo stesso, e ci porremo in danza.

Rom. Datemi una torcia: io non ballerò.

Merc. In vero, gentil Romeo, converrà bene che t’immischii nel ballo cogli altri.

Rom. No; sull’onor mio, invano il tenterei. Voi avete il cuor libero e ’l pie leggiero: ma io ho un’anima di piombo che m’aggrava sulla terra, e mi rende immobile.

Merc. Se amante sei, impenna le ali dell’Amore, e con esse t’alzerai oltre l’altezza comune.

Rom. L’Amore m’ha troppo crudelmente ferito col suo dardo perchè volare io possa colle leggiere sue ali. Sotto la soma di che ei mi caricò, io mi sobbarco.

Merc. E cosa sì lieve, com’è Amore, gravita in te tanto?

Rom. Amor lieve cosa? Oh! mal conosci Amore. Amore è grave, è rude; e de’ cuori fa cote a’ suoi dardi.

Merc. Se Amore è con te rude, rude sii tu con Amore; rendigli ferita per ferita, e arriverai a soggiogarlo. Datemi una maschera... per celare un’altra maschera. (si maschera) Cosa mi cale ora che un occhio indagatore mi si affisi sul volto? Ecco una fronte posticcia, che arrossirà pe’ difetti miei.

Benv. Orsù, andianne; entriamo, e ognuno sia pronto, al bisogno, a mettersi in fuga.

Rom. Io non intenda venire in questo ballo.

Merc. E perchè?

Rom. Sognai stanotte.

  1. Shakspeare era avverso alle maschere, di cui il cattivo gusto del suo tempo aveva innondato il teatro. I suoi Drammi le posero in discredito, sebbene riprendessero poscia favore sotto il regno dello sfortunato Giacomo.