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236 la tempesta

trodotto in Milano, onde cacciarmene in un con te, che stridevi fra le mie braccia.

Mir. Oimò! tal trista istoria mi spreme dagli occhi le lagrime!

Prosp. Odi un istante ancora, e sarai allo scopo del mio racconto.

Mir. Chi vietò loro di toglierne la vita?

Prosp. Ben chiedesti; e a ciò naturalmente io veniva. L’amore che grande mi portava il mio popolo, non diè loro forse fidanza di bruttarsi di sangue; onde, ostentando vaghe mostre per far velo a turpi disegni, ne trascinarono su di una barca; e allontanatine alcun tratto dal porto, ne deposero sul carcame d’un vascello putrido d’anni, spoglio d’ogni arredo marinaresco, che i topi stessi per istinto aveano disertato. Fu là che ne abbandonarono perchè andassimo a gemere sul vasto elemento, che co’ suoi muggiti ne rispondeva; e perchè esalassimo i nostri sospiri fra i zeffiri, che commossi sembravano rammaricarsi delle nostre sventure, blandendo così all’oltraggio che ne faceano trasportandoci lungi dal paese natale.

Mir. Oimè! di quale impaccio vi sarò allora stata!

Prosp. L’angelo tu fosti, che mi salvò. Allorchè, oppresso dal peso delle mie sventure, io versava dagli occhi un torrente di pianto, tu, piena d’una serenità che ti veniva dal cielo, mi sorridesti; e quel sorriso valse a francheggiarmi, e rendermi impavido contro i colpi della fortuna.

Mir. Come poi potemmo approdar ad una sponda?

Prosp. Per divina mercè. Da un nobile napoletano, Gonzalo, cui era stato commesso l’adempimento di quel crudo disegno, ne era stata impartita qualche vettovaglia, nonchè vestimenta e attrezzi di prim’uso; ma, più che tutto, a mia istanza, alcuni libri che gl’indicai, ch’io teneva e tengo ancora in maggior conto del mio ducato.

Mir. Possa io vedere un giorno quest’uomo benefico.

Prosp. Or ecco a cui venni; odi adesso qual fine avessero i nostri travagli. Gettati in quest’isola, qui t’allevai, qui ti fui maestro, qui t’imbevvi di virtù che rado scontransi in giovinette.

Mir. Il Cielo ve ne ricompensi. Adesso, signore, piacciavi istruirmi, ve ne scongiuro, ed è il cuore che n’ha bisogno, della mira che aveste suscitando questa tempesta.

Prosp. Odilo. Per una sventura delle più strane, la benefica fortuna, oggi mia signora prediletta, cacciò a queste sponde i miei nemici; e la mia prescienza mi ammonisce che una stella