Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/308

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atto primo 297

esporrò a questo venerando consesso come imparai ad amare quella fanciulla, e come ne fui riamato.

Doge. Ditelo, Otello.

Ot. Il padre di lei, che mi teneva in estimazione, e spesso mi voleva con sè, m’interrogava sempre sull’istoria della mia vita, sulle battaglie a cui ero intervenuto, sugli assedii che aveva condotti, sui pericoli tutti da me corsi. Riandando la mia vita dai dì della fanciullezza fino all’istante del mio racconto, io facea lunga narrazione di svariate avventure, di dolorosi infortunii, sofferti così in mare che in campo; di tremendi pericoli affrontati or sulle breccie sanguinose, ora sulle navi squarciate. Esponendo come io era rimasto preso da un orgoglioso nemico, venduto schiavo, e poscia ricompro, doveva toccar di tutta la serie de’ miei viaggi, di tutte le cose da me vedute: antri foschi, deserti immensi, aridi scogli, montagne elevate al cielo, cannibali divoratori d’umana carne, e mostri che avevano il capo men alto delle spalle. Mentre seguivano quei racconti, Desdemona pendeva dal mio labbro, ma di sovente le domestiche cure venivano a distrarla; e costretta d’accudirvi, perdeva spesso, con molto suo dolore, il filo della narrativa. Avvistomi di ciò, colsi un dì l’istante propizio, e trovai mezzo per disporre il suo cuore a farmi una preghiera, quella di narrarle il mio pellegrinaggio per l’universo, di cui molti particolari avea ella bensì intesi, ma non mai di seguito tutta l’istoria. Acconsentii; e compiacendola, vidi spesso brillar ne’ suoi occhi le lagrime, allorchè ricordava qualche infelice vicenda di mia giovinezza. Terminato il mio dire, ella sospirò dal cuore profondo, esclamò: che assai strane erano le mie avventure; che ben degna era la mia sorte della più tenera pietà; ch’ella avrebbe allora desiderato ignorarle; e che sarebbe stata nondimeno lieta se il Cielo l’avesse fatta nascere uomo, e messa al posto mio. Mi ringraziò quindi, e mi disse che se un amico avessi avuto che di lei fosse stato vago, gl’insegnassi a raccontare mia storia, chè ciò sarebbe bastato per renderla amorosa. A quell’ingenuo abbandono parlai: ella m’amò pei pericoli che aveva corsi; io l’amai per la compassione che sentiva delle mie sventure: tali sono state le mie malìe. Desdemona si avanza: confermi ella stessa quanto dissi fin qui. (entrano Desdemona, Jago, e seguito)

Doge. Credo che un tal racconto cattivato si sarebbe anche il cuor di mia figlia. Caro Brabanzio, prendete quanto resta di bene in un male irreparabile. Anche col tronco d’una lancia spezzata l’uomo è più forte, che nol sia colle mani vuote.

Brab. Vogliate, ve ne prego, udir lei pure, signore; e s’ella