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54 amleto


Pol. Cessate dalla rappresentazione.

Re. Un lume... esciamo!

Pol. Lumi, lumi, lumi!

(escono tutti, tranne Amleto ed Orazio)

Am. Il cervo tocco da dardo mortale innalzi i suoi gridi lamentevoli; e la damma innocente saltelli per la pianura. Conviene che gli uni veglino, mentre gli altri dormono. Così va il mondo. — Ebbene, amico, questi versi, con un pennacchio in testa e due screzi di provincia nella calzatura non potrebbono, se la fortuna mi riguardasse benigna, farmi aggregare ad una schiera d’istrioni?

Or. Così potrebbero.

Am. Io pur lo credo. — Imperocchè tu sai, mio caro Damos, che questo regno vide cadere il suo trono, per opera di Giove stesso, e sai che oggi vi regna un nero serpe.

Or. Avreste potuto far la rima1.

Am. O buon Orazio, avrò oramai le parole dello spettro in conto di pura verità. Vedesti tu?

Or. Assai bene, signore.

Am. Allorchè si parlò dell’avvelenamento...

Or. Ben me ne accorsi.

Am. Ah!... venga la musica; vengano i rammentatori... perocchè se il re non ama la commedia, e perchè... (entrano Rosencrantz e Guildensterno) Venga la musica.

Guil. Mio buon signore, concedetemi di dirvi una parola.

Am. Anche un’intera istoria, se vi piace.

Guil. Il re, signore...

Am. Ebbene, che gli accadde?

Guil. Sta solo nelle sue stanze molto conturbato.

Am. Dal vino, signore?

Guil. No, principe, dalla collera.

Am. Avreste mostrata maggior prudenza correndo ad avvertire il di lui medico, perocchè io non sono adatto per curare il suo male.

Guil. Mio buon signore, ponete qualche ordine nei vostri discorsi, e non deviate così bizzarramente dal soggetto.

Am. Son pronto, signore; dite.

Guil. La regina vostra madre, nella maggior desolazione dello spirito, mi ha inviato verso di voi.

Am. Siete il ben venuto.

Guil. No, mio buon principe, tal cortesia non è schietta. Se vi

  1. Che sarebbe stata: un ciuco.