Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/533

Da Wikisource.
146 coriolano

sua lingua lo dichiari; e quando è sdegnato, dimentica che esiste la morte.(s’ode gran tumulto) Terribile sommossa!

Patrizio. Vorrei che tutti que’ plebei si fossero ritirati alle loro case.

Men. Io invece, che avessero scelto per letto il Tebro. — Vendetta vogliono!... Perchè non parlò ei loro con dolcezza? (rientrano Bruto e Sicinio con la folla)

Sic. Dov’è il mostro che vorrebbe spopolar Roma per imperarvi solo?

Men. Degni tribuni...

Sic. Debb’essere precipitato dalla rocca Tarpea per mano del carnefice. Ei s’è ribellato contro la legge; la legge lo condanna; e, senza concedergli altri esami, debbe fargli sentire tutto il vigore della potenza pubblica, che colui affetta di disprezzare.

Citt. Ei non debbe apprendere, che i nobili tribuni sono la voce del popolo, e noi il braccio dei tribuni.

Citt. Ciò vedrà.

Men. Signore...

Sic. Silenzio.

Men. Non bandite la strage là dove gridar non dovreste che giustizia e misericordia.

Sic. Signore, come avvenne che v’adopraste per la sua fuga?

Men. Uditemi. Io conosco tutta la grandezza del console, e non ne dissimulo gli errori...

Sic. Console! qual console?

Men. il console Coriolano.

Br. Egli console?

Citt. No, no, no, no.

Men. Buoni cittadini, se posso ottener dai tribuni e da voi il favore di essere ascoltato, non voglio dirvi che una o due parole, le quali non faran nascere altro danno, che quello della perdita di un istante per intenderle.

Sic. Parlate, ma brevemente, perchè siamo determinati di togliere di mezzo quel vile traditore: cacciarlo di Roma, sarebbe renderlo più pericoloso per noi; soffrirvelo, causerebbe la nostra certa ruina; decretato è ch’ei debba morire stanotte.

Men. Ah! i benefici Dei non permettano che la nostra gloriosa Roma, la cui riconoscenza verso coloro che l’han meritata sta scritta negli eterni libri di Giove, dimentichi se stessa così da divorare, come lionessa selvaggia e snaturata, i suoi figli!

Sic. È nello Stato una infermità che bisogna sanare.