Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/624

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atto terzo 237

perfidi! Ma ora che penso a te, ogni mio bisogno si dilegua: e pure, non ha guari, fui per cadere in deliquio. — Ma che veggo? un sentiero conduce a quella caverna!... forse è l’asilo di qualche selvaggio... nè sarebbe bene chiamarlo... non oso chiamarlo... nullameno la fame, finchè la natura non soccombe, rende intrepidi... la pace e l’opulenza affievoliscono l’anima; ma il bisogno è padre del coraggio. Oh! chi è costà? se alcuno vi è, favelli; se un selvaggio vi si nasconde, mi tolga o mi dia la vita. Olà!... nessuno risponde? ebbene, entrerò. — Snudiamo, per maggior sicurezza, la spada; e se il mio nemico teme il ferro com’io, appena oserà di guardarlo un istante. Cielo benigno, concedimi un tale nemico! (entra nella caverna; compariscono da altra parte Belario, Guiderio e Arvirago)

Bel. Tu, Polidoro, che fosti il miglior cacciatore, sarai re della festa; e Cawdal ed io imbandiremo e serviremo il tuo banchetto, come fu il nostro patto: l’industria cesserebbe in breve di prodigare i suoi sudori; l’industria perirebbe, ove incoraggiata non venisse da ricompense e guiderdoni. Entriamo: la fame condirà soavemente i poveri nostri cibi: la stanchezza si addorme a meraviglia anche su’ nudi macigni, mentre la mollezza si sente pugnere sul suo guanciale di piume. — La pace sia con te, povero e sereno ostello!

Guid. Io sono sfinito dalla fatica.

Arv. Ed io pure, ma la fame mi tormenta.

Guid. Nella caverna abbiamo qualche avanzo che ci potrà satollare fino a che la cacciagione sia allestita.

Bel. (guardando nella caverna) Fermatevi, fermatevi: se mangiar nol vedessi le nostre provigioni, giurerei che fosse un Silfo...

Guid. Chi è dunque, signore.

Bel. Per Giove! un angelo; o se non un angelo, certamente un tipo inarrivabile di terrena bellezza! Mirate, mirate quella divinità sotto forme di giovinetto!... (entra Imogène)

Imog. Buona gente, non mi vogliate far male; prima d’entrare in questa caverna, ho chiamato, e la mia intenzione era di avere o in dono, o per prezzo, quello che ho preso. In verità, niente vi ho rapito: e nulla avrei tolto, se il suolo fosse anche stato coperto d’oro. Eccovi denaro per quello che ho mangiato: e lo avrei lasciato sul desco tosto che, finito il mio banchetto, mi fossi dipartito da questi luoghi, pregando il Cielo per l’ospite che mi aveva alimentato.

Guid. Denaro, giovinetto?