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atto secondo | 117 |
dir vero io ho obbliata, o fallata la via: noi ci riposeremo qui, Ermia, se ben lo stimate, aspettando con calma la luce consolatrice del dì.
Er. Facciamo così, Lisandro: andate a cercare un letto per voi, io mi riposerò sopra queste zolle.
Lis. Uno stesso cespo servirà da guanciale ad entrambi: un solo cuore, uno stesso letto, due anime e una fede sola.
Er. No, buon Lisandro; per mio amore giaciti più lungi, non tanto presso a me.
Lis. Oh! mia dolce amica, abbi le mie parole nel senso che dà loro la mia innocenza. Nei colloqui degli amanti l’amore e non il sospetto ne sia l’interprete: io voglio che il mio cuore sia unito al tuo in guisa che noi possiamo di due cuori non ne comporre che uno; che le nostre due anime, giurandosi inviolabile fede, si fondano insieme, e non ne formino che una sola. Non mi rifiutare un posto vicino a te per riposarmi; perocchè giacendoti accanto, io non penso ad alcun tradimento.
Er. Sventura a me, se mai vi ho creduto traditore, Lisandro; ma in nome della tenerezza, allontanatevi un poco, mio amico: tale separazione, prescritta dalla verecondia, si addice ad un amante virtuoso e ad una fanciulla: sì, tenetevi in distanza, e abbiate la buona notte, amico mio, e il vostro amore non finisca che colla vostra preziosa vita.
Lis. Si compia, si compia questa cara preghiera, e termini la mia vita quando terminerà la mia fedeltà. Quest’è il mio letto: il sonno ti dia tutte le sue dolcezze.
Er. La metà ei ne impartisca all’amico che tal bene mi augura. (si addormentano) (entra Puck)
Puck. Ho percorso tutto il bosco, e non ho trovato alcun Ateniese sui di cui occhi io possa spremere questo fiore per accenderlo d’amore. Notte e silenzio! Chi è costà? L’uomo che mi ha descritto il mio signore, che sdegna una fanciulla; ecco lei pure addormentata profondamente sopra l’umida terra. Oh! la vaga donzella: ella non ha ardito coricarsi accanto a questo crudele, a questo nemico della tenerezza. Selvaggio giovine, io verso sui tuoi occhi tutta la potenza che questo filtro possiede: al tuo svegliarti l’amore vieti al sonno di mai più chiudere la tua pupilla. Svegliati quand’io sarò partito: perchè convien che ora io vada in traccia di Oberon.
(esce; entrano Demetrio, ed Elena correndo)
El. Fermati, mio Demetrio, dovessi tu infliggermi morte.
Dem. Parti, ti dico, nè tribolarmi più.