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174 tito andronico

permetta gli si recidano gli artigli. Si dice anche che i corvi alimentano i nati d’altri uccelli rimasti orfani, intantochè i loro proprii languono famelici nel nido. Sii per me, malgrado il tuo cuor duro, non tanto buono, ma un tal poco pietoso.

Tam. Non comprendo quel che voglia dire; guidatela via.

Lav. Oh! lascia ch’io t’insegni la pietà per amore del mio padre che ti fe’ dono della vita quando era signore di toglierla: non indurirti contro la mia preghiera; apri il tuo orecchio a queste voci dolorose.

Tam. Quand’anche oltraggiato non mi avessi, il nome di tuo padre basterebbe a rendermi spietata. — Ricordatevi, figli miei, che le mie lagrime sgorgarono invano per salvare il fratel vostro da barbaro sacrifizio. Il crudo Andronico non volle intenerirsi: guidatela via, quindi usatene come vi piace; più l’oltraggerete e più sarete amati da vostra madre.

Lav. Oh! Tamora, acquistati nome di mite regina, uccidendomi qui colle tue mani; perocchè non è la vita ch’io ti chieggo, che perduta ho, sventurata, fin da quando rimase ucciso Bassanio.

Tam. Che dimandi dunque? Donna insensata, lasciami.

Lav. Una subita morte dimando, ed anche una cosa che il pudore m’impedisce di proferire. Ah! salvami dai furori della loro passione, e seppelliscimi in qualche orrendo abisso dove mai l’occhio dell’uomo mirar possa il mio corpo. Concedimi tal grazia, e sii un’ucciditrice pietosa.

Tam. Così frustrerei i miei figli della loro mercede: vuo’ che essi sfoghino i loro desiderii.

Dem. Vieni, già troppo rimanesti.

Lav. Niuna grazia? Non è in te alcun sentimento di donna? Ah! femmina iniqua, obbrobrio eterno, obbrobrio del nostro sesso, i mali tutti possano...

Chir. Io le chiuderò la bocca: tu trascina il di lei sposo: (guidando via Lavinia) questo è il luogo dove Aaron ci disse di nasconderlo.      (escono)

Tam. Addio, miei figli: pensate a bene assicurarcene. Non mai il mio cuore gusti alcun sentimento di gioia fino a che l’intera schiatta degli Andronici non sia distrutta. Ora vuo’ ire in traccia del mio nobile moro, e lasciare che i miei figli facciano cencio di quell’indegna.     (esce)