Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/189

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178 tito andronico


Dem. Posto che avessi le mani per formare il nodo.

(esce con Chir.; entra Marco)

Mar. Che veggo io? È mia nipote che mi sfugge così? Cara nipote, una parola; dov’è il tuo sposo? — Se un sogno è questo, vorrei per tutti i miei tesori esserne sciolto. Se desto sono, la influenza di qualche astro fatale mi atterri e mi immerga in un eterno letargo. — Parlami, diletta nipote, qual mano feroce ti ha così mutilata? Chi ha privato il tuo corpo di quei due rami che l’adornavano sì piacevolmente? I re della terra si sarebbero chiamati felici di addormentarsi stretti dai loro dolci amplessi, e la meta segnata dalla tua tenerezza sarebbe stata la maggiore felicità che avessero mai potuta ottenere! Perchè non rispondi tu? Oimè! Un ruscello di sangue fumante, come una sorgente fragorosa e agitata esce dalle tue labbra di rosa, e cade e segue i moti della tua respirazione. Certo qualche nuovo Tereo ti ha profanata, e perchè il suo delitto resti occulto ti ha recisa la lingua. Ah! lo veggo, il pudore ti fa rivolgere altrove il volto e in onta di tanto sangue che perdi le tue guancie si colorano e s’infiammano, come il viso di Titano quando arrossì di essere investito da una nube. Risponderò io per te? Dirò che questa fatale sventura è indubitata? Perchè non posso io leggere nel tuo cuore, e conoscere la belva feroce che ti straziò, onde sollevare la mia anima cogli impeti della collera? Il dolore compresso, come un forno chiuso, incenerisce il cuore che lo contiene. La bella Filomela non perde che la lingua, e potè ricamare sopra un drappo le sue sventure; ma tu neppur questo puoi, mia amabile nipote. Incontrato tu hai un Tereo più crudele e più astuto che tagliate ti ha quelle belle dita, che avrebbero saputo compier lavori più leggiadri assai di quelli di Filomela. Ah! se quel mostro vedute avesse quelle mani di gigli tremare come le foglie del salice sopra il liuto, e porre in fremito le sue corde di seta pel piacere delle loro carezze, non si sarebbe indotto ad offenderle neppure a rischio della sua vita. Se intesa avesse la celeste armonia che produceva quella lingua melodiosa, si sarebbe lasciato sfuggire il fatal coltello, e caduto sarebbe in un dolce sopore, come Cerbero ai piedi del poeta di Tracia. — Ora vieni con me, vieni ad acciecare il padre tuo, perocchè una simile vista deve toglier gli occhi ad un padre. Una pioggia d’un’ora basta per annegare le piante odorifere; e che non produrranno sugli occhi di tuo padre interi anni di lagrime? Non isfuggirmi: noi piangeremo insieme; e volesse il Cielo che i nostri pianti potessero alleviare l’orrore della tua condizione!     (escono)