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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/253

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242 il mercante di venezia

chè chi può cercare di schermire la fortuna e d’innalzarsi onorevolmente senza merito? Niuno presuma rivestirsi d’onori di cui è indegno... Oh! piacesse al Cielo, che i beni, le ricchezze, le dignità, carpite non fossero colla corruzione, e che il puro e splendido onore non si acquistasse mai che colle virtù di quegli che ne è rivestito! Quante persone che son nude, andrebbero coperte! Quante che comandano, sarebbero serve! Quanti grani di bassezza da separare dai veri semi dell’onore! Quanto onore si troverebbe nascosto nelle capanne e nei tuguri, a cui restituire si dovrebbe tutto il suo splendore antico. Ma scegliamo. Chi mi elegge otterrà quanto merita. Prenderò quello che merito. Datemi la chiave: ed aprirò tosto questo scrigno.

Por. Troppo tempo avete perduto per quello che rinverrete qui.

Ar. Che vi è? Il ritratto di un idiota, che con occhio stupido mi presenta un foglio! Vuo’ leggerlo. Quanto diverso tu sei da Porzia! Quanto sei lungi dalla mia speranza e dal merito mio! Chi mi elegge otterrà quanto merita. Non meritava io di meglio della testa di uno stolto! È questo il valor mio? Son questi i miei meriti?

Por. Offendere e giudicare sono uffici diversi e di opposta natura.

Ar. Che dice qui?

«Il fuoco ha messo alla prova sette volte questo metallo; e sette volte è maturo quel giudizio che con rettitudine fu dato. Sonvi persone che non abbracciano che le larve; e ad esse non tocca che l’ombra della felicità! Io so che esistono sciocchi sopra la terra vestiti d’argento com’io; sposate la donna che vorrete, la vostra testa sarà la mia sempre. Itevene ora, signore, siete libero».

Quanto più restassi in questi luoghi, tanto più mostrerei la mia follia; venni per amoreggiare con una testa di stolto, e me ne ritorno con due. Addio, signora, adempirò al mio giuramento di sopportare con pazienza la mia sventura. (esce col suo seguito)

Por. Il tarlo si è abbruciato alla luce. Oh, gli imbelli! Allorchè scelgono, ragionano tanto che sempre s’ingannano.

Ner. L’antico adagio dice il vero: appiccati o maritati, ciò dal destino dipende.

Por. Tirate le cortine, Nerissa. (entra un Domestico)

Dom. Dov’è la signora.

Por. Eccola; che vuoi?