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282 timone di atene

Chiede una lettera da Vostra Grandezza diretta a coloro che lo han fatto imprigionare; se questa gli è ricusata, ei non ha più speranze.

Tim. Nobile Ventidio! Ebbene; io non son di tal tempra da restringer la mano di un amico che impetra soccorso. Lo conosco per uomo onesto che merita aiuto, e l’avrà; vuo’ pagare il suo debito, e farlo libero.

Ser. Un tale benefizio lo rende a voi devoto per sempre.

Tim. Salutatelo in mio nome; gli manderò il suo riscatto, e quando sarà fuori, ditegli che venga da me. Non basta rialzare il debole oppresso, convien dargli modo anche dopo di sostenersi: addio.

Ser. Ogni felicità vi sorrida! (esce; entra un vecchio ateniese)

Vec. Nobile Timone, ascoltami.

Tim. Parla liberamente, buon padre.

Vec. Tu hai un servo chiamato Lucilio.

Tim. È vero; che perciò?

Vec. Nobilissimo Timone, fallo venire dinanzi a te.

Tim. È egli costà? Lucilio?     (entra Lucilio)

Luc. Eccomi ai servigi di vossignoria.

Vec. Quest’uomo, nobile Timone, quest’uomo che vive de’ tuoi stipendii, entra di notte in casa mia. Io son un uomo che, dedicatomi dalla giovinezza in poi ai negozi, merito un erede più ricco che non lo è un tuo famiglio.

Tim. Ebbene; a che riesci?

Vec. Non ho che una figliuola, un’unica figliuola, a cui posso lasciar tutto quello che ho accumulato; essa è bella, e delle più giovani che sappiano andar a marito. L’ho educata con amore, e a nulla perdonai per fornirla di tutte quelle doti che in fanciulla si addicono. Questo garzone de’ tuoi osa richiederla d’amore, ond’io ti scongiuro, nobile Timone, perchè t’unisca a me in proibirgli di rivederla; a me solo non bada.

Tim. È un giovine onesto.

Vec. Lo sia dunque anche per me. La sua onestà gli serva di ricompensa, e non cerchi di rapirmi la figlia.

Tim. Ne è essa innamorata?

Vec. Giovine, e credula, come nol sarebbe? Le passioni che un tempo provammo noi stessi, ci ammoniscono quanto la giovinezza sia leggiera.

Tim. E tu, ami tu quella fanciulla?

Luc. Sì, mio buon signore, e ne son corrisposto.

Vec. Se dovesse maritarsi senza il mio consentimento, attesto