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308 timone di atene


Tim. Perchè si oppongono le porte al mio passaggio? Sarò io sempre stato libero, perchè la mia casa divenga nemica di mia libertà e mi si muti in carcere? Il luogo, in cui ho date tante feste, mi mostra esso ora, come tutto l’uman genere, un cuore di ferro?

Luc. Dom. Comincia tu, Tito.

Tit. Signore, ecco la vostra obbligazione.

Luc. Dom. Eccovi la mia.

Or. Dom. E la mia, signore.

Entrambi i Var. Dom. E le nostre, signore.

Fil. Ecco la vostra polizza.

Tim. Soffocatemi con esse; impeditemi la respirazione.

Luc. Dom. Oimè! signore.

Tim. Strappatemi il cuore, e convertitelo in oro.

Tit'. Io ho un credito di cinquanta talenti.

Tim. Reclamali dal mio sangue.

Luc. Dom. Cinquemila corone, signore.

Tim. Cinquemila goccie di esso le pagheranno. — E voi?... E voi?...

Var. Dom. Signore...

Var. Dom. Signore...

Tim. Squarciatemi, fatemi in brani, e gli Dei vi maledicano!

(esce)

Or. Affè, veggo che i nostri padroni possono gettare i berretti dietro al loro danaro; tali crediti possono ben dirsi disperati, dacchè li dovrebbe appianare un frenetico.

(escono; rientrano Timone e Flavio)

Tim. Essi mi fecero infuriare, quei miserabili! Creditori! Diavoli.

Flav. Mio caro signore...

Tim. E s’io così facessi?

Flav. Signore...

Tim. Così farò: odi intendente!

Flav. Che volete, signore?

Tim. Odi. — Va ad invitare tutti i miei amici di nuovo, Lucio, Lucullo, e Sempronio; tutti: vuo’ dare un ultimo banchetto ai malandrini.

Flav. Oh signore, è lo smarrimento della vostra ragione che vi fa parlare così; non vi rimane neppure di che imbandire il pasto più frugale.

Tim. A ciò non pensare; va. Ti commetto di invitarli tutti: l’onda di quei disperati invada di nuovo queste sale; il mio cuoco ed io provvederemo ad ogni cosa.     (escono)