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atto quarto | 317 |
di dolori. (dando alcune monete ai domestici che poi escono) Oh! da quali orrende necessità le ricchezze ci hanno precipitati! Chi mai desidererà ora di non essere dovizioso, poichè le dovizie conducono a questo stato di miseria e di disprezzo? Chi vorrà lasciarsi sedurre dallo splendore della prosperità, quando essa non procaccia che un falso sogno di amicizia? Chi vorrà i beni che dànno gli agi e la pompa, allorchè essi non sono che larve ingannatrici, che immagini vane? Oh mio buon signore, sì probo, e sì sfortunato! Ecco a che il suo ottimo cuore lo ha ridotto; è la sua beneficenza che lo ha messo in fondo! Strano è ben l’uomo il cui maggior delitto è di aver troppo amato! Chi oserà omai essere a metà così buono, poichè la bontà, che fa gli Dei, distrugge l’uomo? Mio caro padrone, altravolta adorato, per essere oggi maledetto; ricco, soltanto per diventar mendico! La tua grande opulenza è fatta la tua gran calamità. Oimè, il buon signore! Nella mia rabbia egli è fuggito da questa odiosa città, ricetto dei suoi mostruosi amici. Ei nulla ha con sè per sostentare la sua vita e procacciarsi il necessario. Voglio cercarlo e seguirlo. Servirò sempre la sua bell’anima colla maggior affezione; e finchè mi resterà oro, sarò suo intendente. (esce)
SCENA III.
Dense boscaglie.
Entra Timone.
Tim. Oh sole, padre di tutti i beni, estrai i vapori più impuri della terra; infetta l’aere dalla sfera di tua sorella fino al nostro globo. — Due fratelli gemelli, esciti dal medesimo seno, concepiti, formati e nati quasi nel medesimo istante, provano destini ben contrarii! Il più grande disprezza il minore. L’uomo, in onta di tutti i mali che lo cingono e gli ricordano la sua origine, non può mantenersi in un’alta fortuna, senza sconoscere la sua natura e disprezzare il suo simile. Si educhi quel mendico e si impoverisca quel senatore; il primo godrà degli onori di una nascita illustre, il secondo porterà seco un disprezzo ereditario. È il pascolo che alimenta le stagioni della vita, ed è il bisogno che le rende magre. Qual uomo, nella fierezza di un’anima diritta e pura, oserà dire: costui è un adulatore? Se ve n’ha un solo, essi lo son tutti; perocchè tutti si seguono come un armento, e ogni gradino per cui si sale alla fortuna è calcato da qualcuno di costoro. La testa del dotto s’inchina rispettosa