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46 il re lear

valieri, o di dieci, o di cinque, per stare in una casa dove ne troverete due volte tanti per servirvi?

Reg. Qual bisogno avreste anche d’uno solo.

Lear. Oh! non parlar di bisogno; i nostri più vili mendichi hanno qualche cosa di superfluo in mezzo alla loro miseria. Concedi all’uomo ciò solo che gli è necessario, e la sua vita sarà meno bella, che non lo è quella dei bruti. Tu sei principessa: se tutto il lusso stesse nel tenersi caldi, abbisogneresti tu di quelle preziose vestimenta che porti, e che possono appena ripararti contro la brezza occidentale? Havvi per me un bisogno più vero, quello della pazienza: accordatemela voi, sommi Dei! Voi qui vedete uno sfortunato vecchio, oppresso così da’ suoi dolori, come dal peso della sua età, miserabili entrambi! Se siete voi che armate queste figlie contro il loro padre, non mi rendete tanto insensibile da sopportare freddamente l’ingiuria: inspiratemi una nobile collera. I pianti, sole armi della donna, non righino le gote d’un uomo. — Sì, mostri snaturati, io n’avrò di voi una vendetta che il mondo intero... Le cose che farò, ignoro quali siano; ma tali saranno da empier di terrore la terra1. — Voi credete ch’io pianga. No, non piango... e nullameno avrei motivo di lagrimare; ma questo cuore si frangerà in mille parti prima che una lagrima, una lagrima sola spanda. — O pazzo, io diverrò forsennato!

(escono Lear, Glocester, Kent e il buffone).

Corn. Ritiriamoci; minaccia tempesta.

(comincia ad udirsi il rombo del temporale)

Reg. Questa casa è piccola; il vecchio e la sua gente non possono esservi bene albergati.

Gon. Ne accagioni sè: ei si toglie ogni riposo, ed è bene che sperimenti la propria follia.

Reg. Lui particolarmente riceverei volentieri, ma non uno del suo seguito.

Gon. A questo io pure sono determinata. — Ma dov’è milord Glocester?

Corn. Ei seguì il vecchio... eccolo che ritorna.

(rientra Glocester)

Gloc. Il re è fieramente sdegnato.

  1. Haud quid sit scio,
    Sed grande quiddam est.

    (Seneca)

    Nescio quid ferox
    Decrevit animus intus, et nondum sibi audet fateri.

    (Medea)