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ENRICO IV — ATTO QUARTO 263

bietta e vile, guidata da giovani avventurosi, animata da furore e sostenuta da una schiera di adolescenti senza fortuna; se sotto tal forma, che le è propria, si offrisse, non si vedrebbe voi, prelato venerabile, e tutti questi nobili lórdi fregiare della vostra presenza e del vostro onore la sua fronte abominevole. Ma voi, lord Arcivescovo, il di cui seggio ha base nella pace pubblica; voi, di cui la mano argentina del ben essere universale ha tante volte piamente toccato il mento canuto; voi, che fra la quiete vi nudriste alle scienze e alle lettere, e le di cui vesti mostrano colla loro bianchezza l’emblema dell’innocenza e i colori della divina colomba; perchè con mutamento inesplicabile vi siete voi tolto alle vostre pacifiche e benevoli esortazioni, che invocavano la grazia del Cielo, per preferire quelle ree e micidiali della guerra? Perchè abbandonaste i vostri libri santi per la spada, le vostre sacre scritture per versare il sangue, la vostra penna per la lancia? Perchè fate servire l’interprete della parola divina, qual organo funesto delle stragi delle battaglie?

Arc. Voi chiedete perchè mi trovo qui! Eccone la ragione; e in brevi parole eccovi il mio intento. Noi siamo tutti infermi; gli eccessi della nostra intemperanza e delle nostre follie hanno acceso nel nostro seno una febbre ardente, che non si placherà se non versando sangue. Uguale malattia assalse il fu Riccardo e gli riescì mortale. Ma mio nobile lord di Westmoreland, io non mi rendo qui medico di tali mali; nè è come nemico di pace ch’io mi mescolo fra i guerrieri. Se mi mostro ai vostri occhi sotto questo apparecchio minaccioso, per poco lo fo’, e ciò anche solo a fine di sanar spiriti sazii di pace, e come stanchi di felicità; affine di purgare un’eccesso d’umori accumulati dal riposo, che cominciavano ad arrestare nelle nostre vene il movimento della vita. Vi parlerò più aperto. Ho pesato con mano imparziale e in equa bilancia i mali che possono fare le nostre armi e le ingiustizie che patiamo, e veggo che queste son maggiori delle nostre offese. Non sappiamo qual corso segue il torrente delle attuali circostanze, ed è esso che ne trasporta e ne strappa nostro malgrado dalla pacifica sfera in cui soggiornavamo. Abbiamo raccolto in breve scritto tutte le nostre lagnanze, che mostreremo allorchè i tempi lo concedano. Volevamo porle a cognizione del re prima di quest’ultimo passo, ma non potemmo mai ottenere che ci ascoltasse. Allorchè siamo offesi, e vogliamo difender la nostra causa, l’accesso del suo trono ne è vietato da quegli uomini istessi che ne hanno oppressi di più. Sono i pericoli dei giorni trascorsi, la di cui memoria è segnata sulla terra in caratteri di sangue;