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ATTO QUINTO 285

tovi dai sentimenti imparziali della mia coscienza, e non mi vedrete mai pentirmene, nè dichiararlo vilmente indegno, nè comprare con suppliche un perdono disonorevole. Se la giustizia e l’innocenza cagionano la mia rovina, raggiungerò il morto re mio signore, e gli dirò chi mi abbia mandato dietro a lui.

War. Ecco il principe.     (entra il re Enrico V)

Lord. Buon giorno, e salvi il Cielo Vostra Maestà.

R. Enr. Questo splendido vestimento, così nuovo per me, non mai riesce tanto agevole quanto potreste crederlo. — Fratelli, voi fondete nella vostra mestizia qualche timore; ma questa è corte d’Inghilterra, non Ottomana. Qui non sono gli Amurat che succedano agli Amurat, ma gli Enrichi che agli Enrichi tengono dietro. Nondimeno, miei nobili fratelli, non infrenate il vostro dolore, che ben vi si addice, e che tanto splende su di voi; io pure vuo’ serbarlo lungo tempo in fondo al mio cuore. Sì, siate mesti, fratelli; ma non vogliate vedere in tal mestizia che un peso comune che tutti portiamo. Quanto a me, ne attesto il Cielo, bramo crediate che vi sarò padre e fratello. Vogliate soltanto amarmi, ed io assumerò ogni negozio. Piangete l’Enrico estinto, che io pure lo piangerò: ma rammentate che un Enrico vivo vi rimane, che ricambierà ogni vostra lagrima con molte ore di gioia.

Gio. Non ci aspettiamo meno dalla Maestà Vostra.

R. Enr. Voi mi guardate tutti con sorpresa;... e voi più di ogni altro (al Lord): voi siete, io credo ben sicuro che non vi amo?

Lord. Son sicuro, ove pesiate rettamente le mie azioni, che Vostra Maestà non ha motivo d’odiarmi.

R. Enr. No! Come potrebbe un principe quale sono io dimenticare le vostre sevizie? Che! Garrire pubblicamente, ingiuriare, mandar prigione l’erede della corona d’Inghilterra, non erano quelle solenni offese? Or possono esse dimenticarsi facilmente?

Lord. Io rappresentavo allora la persona di vostro padre: l’imagine della sua possanza risiedeva in me; e in mezzo all’amministrazione delle sue leggi, intantochè io sorvegliavo i pubblici negozii, piacque a Vostra Altezza di dimenticare il mio grado, la maestà del trono, l’autorità della giustizia e il re, di cui ero simulacro, per venirne fino a percuotermi sul mio augusto tribunale! A tale oltraggio fatto al padre vostro, spiegai la mia autorità e vi feci imprigionare. Se la mia condotta fu biasimevole, acconsentite ora che portate il diadema a vedere vostro figlio disprezzare i vostri decreti, abbattere la maestà del vostro seggio, interrompere il corso delle leggi, e frangere la spada che