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ATTO QUARTO 343


Enr. Pel Cielo vi dirò schiettamente secondo la mia coscienza quello ch’io penso del re. Io credo sull’onor mio ch’ei non desideri di essere lontano dal luogo in cui si trova.

Bat. In tal caso vorrei che vi fosse solo: ei sarebbe sicuro di vedersi riscattato, e ciò salverebbe la vita a molti de’ suoi poveri sudditi,

Enr. Credo che non gli vogliate tanto male per desiderare che ei fosse qui solo. Questo che voi dite, tende solo, ne son sicuro, a scrutar la mente di quelli che parlano con voi. Per me, parmi che non potrei desiderare di morire più onorevolmente in altro luogo che in compagnia di un sovrano, difenditore di una causa giusta e santa.

Bat. Ciò vuol dire che noi ne sappiamo più che non dovremmo; perocchè il necessario a conoscersi starebbe nella coscienza d’esser sudditi del re. Se la sua causa è ingiusta, l’obbedienza che gli dobbiamo cancella per noi il delitto, e ce ne assolve.

Wil. Ma se la sua causa è ingiusta, Enrico dovrà renderne un terribile conto, allorchè tutte le gambe, le braccia e le teste, che saran state tagliate in una battaglia, si riuniranno nel dì del giudizio, e gli grideranno: noi morimmo colà: gli uni giurando, altri implorando un cerusico, altri lasciando le loro povere mogli dietro ad essi, altri senza pagare i loro debiti, altri con figliuoletti nudi ed orfani. Ho gran tema ancora che ben pochi ve ne siano fra tutti coloro che rimangono uccisi in una battaglia, che muoiano colla coscienza netta. Perocchè, come possono essi mettere ordine alle cose loro, se non hanno davanti che il sangue e le stragi? Ora se quelle persone non muoiono in buono stato sarà una brutta cosa pel re che a ciò gli avrà condotti, e a cui disobbedire sarebbe delitto anche maggiore.

Enr. Così se un figlio che il padre manda a mercatare, divien malvagio per via, e manca all’oggetto della sua missione, il delitto suo, secondo il concetto vostro, ricadrà sul genitore? Oppure se un domestico, che per comando del suo signore reca una somma, è assalito dai ladri, e muore pieno di peccati, voi accuserete il signore d’esser l’autore della dannazione di quell’uomo e ne lo vorrete responsivo? No, v’ingannate; non è così. Il re non è obbligato a rispondere dei falli personali dei suoi soldati, più che noi sia il padre di quelli del suo figlio, o il padrone di quelli del suo domestico. Perocchè ei non disegna in modo alcuno la loro morte, allorchè li comanda. Di più, non vi è re, per quanto buona sia la sua causa, che possa sperare, allorchè s’ha a definire colle armi, di sostenerla con un esercito di uomini