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ATTO QUARTO
SCENA I
Kent. — La spiaggia del mare vicino a Douvres.
Si ode lo strepito di una battaglia che segue in mare; quindi approdano un Capitano, un Timoniere, Gualtiero Whitmore, ed altri; con essi Suffolk, e vari gentiluomini prigionieri.
Cap. Alla fine il giorno, confidente indiscreto, colla sua luce importuna, è rientrato nel seno profondo dei mari e con sè reca le ore della pietà. Ora gli animali dei boschi, coi loro ululi selvaggi, svegliano i neri draghi che tirano il fosco carro della notte,, mostri fatali che si piacciono nelle tombe dei morti e soffiano nell’aere le pestilenze. Ecco il momento, amici, di sbarcare i nostri prigionieri; intantochè il nostro vascello rimarrà ancorato essi ne daranno garanzie del loro riscatto o tingeranno col loro sangue queste pallide sabbie. Piloto, ti cedo di cuore questo captivo; e a te, Timoniere, quest’altro. Whitmore, (indicando Suff.) questo a te appartiene.
1° Gent. Quale è il mio riscatto, signore? Fatemelo conoscere.
Cap. Mille corone, o altrimenti china la testa.
Tim. E altrettanto voi mi darete se non volete subire egual sorte.
Cap. Che! vi par molto il pagar due mila corone, e portate il nome e l’aspetto di gentiluomini? Tagliate le gole a questi malandrini; essi denno morire; le vite di coloro che abbiam perduti nel combattimento non possono essere bilanciate con sì piccola somma.
1° Gent. Pagherò, signore; lasciatemi la vita.
2° Gent. Così farò anch’io, e scriverò tosto a questo effetto.
Whit. Io perdei un occhio andando all’arrembaggio; e per vendetta vo’ che tu muori. (a Suff.)
Cap. Non esser sì crudele; poni il riscatto e lascialo vivere.
Suff. Riconosci quest’ordine; son nobile, imponi su di me la taglia che vuoi; sarai pagato.
Whit. E così son io; il mio nome è Gualtiero Whitmore. Ebbene? Perchè impallidisci? La morte ti fa ella terrore?
Suff. Il tuo nome mi empie di sgomento, perchè in esso è