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ATTO QUARTO 203


SCENA VII.

Dinanzi a York.

Entrano il re Eduardo, Glocester, Hastings e l’esercito.

Ed. Ora, signori, la fortuna ci grida che un’altra volta io debbo mutare il mio squallido stato nella splendida corona di Enrico. Noi abbiam varcati e rivarcati i mari e rechiamo con noi il desiderato soccorso della Borgogna. Che dunque ci resta, essendo così giunti dal porto di Ravenspurg innanzi alla città di York, se non di entrarvi siccome nel nostro ducato?

Gloc. Le porte ci resistono. — Fratello, tal giuoco non mi diletta. — Molti dei nostri caduti sulle soglie ci han ben presagito, che pericoloso è il tentativo.

Ed. Tacete; sinistri augurii non ci atterriscano; siansi quali si vogliono i mezzi, dobbiamo entrar qui, perchè qui si congiungeranno a noi i nostri amici.

Hast. Signore, farò loro la chiamata anche una volta.

(entrano sulle mura di York il Prefetto ed altri Magistrati)

Pref. Milordi, eravamo istrutti della vostra venuta e chiudemmo le porte per nostra sicurezza: noi ora siamo sudditi del re Enrico.

Ed. Ma, prefetto, se Enrico è vostro re, Eduardo almeno è duca di York.

Pref. È vero, signore; tale voi siete.

Ed. Ed io rivendico soltanto il mio ducato, e di esso solo mi appago.

Gloc. (a parte) Ma quando la volpe ha posto dentro il muso essa trova modo per far entrar tutto il corpo.

Hast. Perchè, prefetto, rimanete sorpreso? Apritele porte, noi siamo amici del re Enrico.

Pref. Questo mi dite? le porte vi saran dunque aperte. r

Gloc. Un sagace Magistrato, affè! e che si lascia convincere per poco!

Hast. Il buon vecchio vorrebbe che tutto procedesse bene a non ne venisse biasimo a lui: ma una volta entrati, credo che presto lo persuaderemo e porremo alla ragione e lui e i suoi fratelli. (rientra il Prefetto con due Magistrati ai disotto)

Ed. Buon Prefetto, queste porte non debbono restar chiuse fuorchè di notte o in tempo di guerra. Non temete di nulla, e da-