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ATTO QUARTO 283

Rougemont a qnel nome io inorridii, perchè un bardo d’Irlanda mi disse una volta, che non vivrei lungo tempo dopo aver veduto Richemond.

Buck. Milord...

Ricc. Ah! che ora è?

Buck. Oso essere tanto audace da ricordare a Vostra Grazia la promessa che mi avete fatta.

Ricc. Bene sta; ma che ora è?

Buck. Le dieci in procinto di suonare.

Ricc. Bene, lasciate che suonino.

Buck. Che suonino? Che significa ciò?

Ricc. Che tu sospenda per un’ora la tua petulanza; non mi sento oggi d’umor liberale.

Buck. Degnatevi almeno dirmi se debba contare o no sulla vostra promessa.

Ricc. Mi annoii, ti dico; non sono in vena da ciò. (esce col suo seguito)

Buck. Così mi lascia? Con tal disprezzo ricompensa i miei alti servigi? Lo feci io re per questo? Oh! mi rammento di Hastings, e fuggirò a Becknok, finchè questa testa tremante sta ancora sulle mie spalle. (esce)

SCENA III.

La stessa.

Entra Tyrel.

Tyr. L’atto sanguinoso e tirannico è compiuto; il più barbaro macello di cui quest’isola si sia resa colpevole! Dighton e Forresty che subornai per accudire all’orrenda opera, sebbene scellerati avvezzi da lungo al delitto, commosso di tenerezza han pianto come fanciulli, raccontandomi i particolari della loro morte. — Oimè! mi disse Dighton, così stavano adagiati quei due infelici in un medesimo letto. — Abbracciati si tenevano, soggiunse Forrest, colle loro braccia innocenti e candide come l’alabastro. Le loro labbra sembravano quattro rose sopra uno stelo solo, che nel loro più vermiglio splendore si baciassero l’una coll’altra. Un libro di preghiere posava sul capezzale: quella vista, disse Forrest, mutò quasi la mia anima. Ma il demonio... lo scellerato si fermò a questa parola e Dighton continuò: «Noi abbiam distrutto la più bell’opera che la natura avesse formato dopo la creazione». Poi m’han lasciato, così compresi di dolore e di rimorso che non