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ATTO PRIMO 85

sapete quello che dovete fare. Venite con me ed io vi impiegherò. Miei buoni amici, vogliate scusarmi, ed aiutatemi in questo momento di confusione. (escono)


SCENA III.

Un’altra stanza nella casa di Leonato.

Entrano Don Giovanni e Corrado.

Cor. Che avete, signore! Dacchè procede questa estrema tristezza?

D. Gio. Come la cagione del mio dolore non ha limiti, così la tristezza mia è senza misura.

Cor. Dovreste badare alla ragione.

D. Gio. £ quand’anche vi badassi, qual frutto me ne verrebbe?

Cor. Se esso non ripara al male presente, almeno dà la pazienza per sopportarlo.

D. Gio. Stupisco che essendo nato, come dici, sotto il segno dì Saturno, tu voglia applicare un topico morale a un mal disperato. Non posso dissimulare; convien ch’io sia tristo allorchè ne ho donde. Io non so sorridere alle follie di nessuno. Vuo’ mangiare quando il mio stomaco lo esige, dormire quando mi sento assopito, ridere allorchè ne ho talento, senza sojar mai i capricci altrui.

Cor. Si, ma voi non dovete mostrare apertamente il vostro carattere allorchè ve ne può venir biasimo. Non ha guari avevate prese l’armi contro D. Fedro, ed egli vi ha rimesso nelle sue buone grazie; ma è impossibile che le conserviate senza maggiore prudenza. È forza che aspettiate la stagione che recherà a maturazione i frutti.

D. Gio. Più mi piacerebbe essere una spica selvatica che una rosa, quando di ciò dovessi essere debitore a lui: meglio amerei lo sdegno universale che dover dissimulare per ottenere l’affetto degli uomini. Se niuno potrà darmi il titolo di uomo cortese, almeno mi verrà dato quello di burbero schietto. Di me niuno si fida fuorchè incatenandomi: s’io vengo posto al largo, ho i ceppi al piede: onde sono risoluto di fare il senno mio. Lasciami quale mi vedi senza cercar di mutarmi.

Cor. Non potete trarre alcun profitto dal vostro cruccio?

D. Gio. Vuo’ trarre tutto il partito possibile: ma chi viene? (entra Boracchio) Quali novelle, Boracchio?

Bor. Vengo da una gran cena. Leonato tratta il prìncipe