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154 | DUE GENTILUOMINI DI VERONA |
ATTO SECONDO
SCENA I.
Milano. - Un appartamento nel palazzo del Duca.
Entrano Valentino e Speed.
Sp. Messere, il vostro guanto.
Val. Non è mìo; i miei guanti gli ho nelle mani.
Sp., Questo potrebbe ben nonostante esser vostro, quantunque unico.
Val. Ah! lasciami vedere: sì, dammelo, è mio; dolce ornamento che fregia una cosa divina! Oh Silvia, Silvia!
Sp. (gridando) Madonna Silvia, madonna Silvia!
Val. Che fai, mariuolo?
Sp. Ella non può udirci, signore.
Val. Chi ti comandò di chiamarla?
Sp. Vossignoria, se non m'ingannai.
Val. Tu fosti sempre troppo ardito.
Sp. E nondimeno fui, non ha molto, ripreso per essere stato timido.
Val. Basta di ciò; dimmi, conosci Silvia?
Sp. Quella che Vossignoria adora?
Val. Come sai tu che l’adoro?
Sp. Per questi segni: prima perchè avete imparato, come messer Proteo, ad incrociare le braccia, a mo’ degli uomini malcontenti, poi a piacervi in una canzone d’amore come un pettirosso, e a passeggiar solo quasi foste un appestato, e a sospirare come uno scolaro che ha perduto il suo A. B. C., e a piangere come una giovinetta che ha veduto morire sua nonna, e a digiunare come un malato a cui è stata imposta la dieta, e a vegliare come chi teme d’esser derubato, e a parlare con tuono lagrimevole come un mendico alla porta d’una chiesa. Voi eravate avvezzo quando ridevate a cantare come un gallo; quando passeggiavate a passeggiare come un leone; non digiunavate che dopo un buon pranzo; non eravate mesto che per mancanza di danaro: ed ora la vostra amante v’ha tanto mutato, che quando vi contemplo, dubito che siate il mio padrone.