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162 DUE GENTILUOMINI DI VERONA


Sil. Forse ella lo avrà rimesso in libertà, contentandosi di ricevere qualche pegno della sua fede.

Val. No; credo che gli occhi di Proteo siano ancora schiavi de’ suoi.

Sil. Ei sarebbe allora cieco; e se lo fosse come potrebbe trovare la sua via, per venir qui?

Val. Oh! bella Silvia, l’amore ha più di due occhi.

Tur. Molti però dicono che non ne ha neppur uno.

Val. Per vedere amanti come voi, Turio. L’occhio dell’amore non discerne un oggetto così volgare. (entra Proteo)

Sil. Cessate, cessate: ecco il gentiluomo.

Val. Ben venuto, Caro Proteo! Signora, vi supplico di confermare il mio benvenuto con qualche special favore.

Sil. Il suo merito gli è garante d’ogni più lieto ricevimento, se è il nobile cavaliere di cui avete desiderato tante volte d’udir novelle.

Val. È egli appunto, bella Silvia: mia amabile fanciulla, permettetegli d’unirsi a me nel dovere di servirvi.

Sil. Sono troppo umile signora per un tanto servitore.

Prot. Non lo dite, dolce donzella; son io invece troppo umile servo, per ottenere uno sguardo di così illustre dama.

Val. Cessate dallo scusarvi: amabile Silvia, accoglietelo qual servo vostro.

Prot. Non potrò vantarmi che del mio zelo in riempire i miei doveri; ma di null’altro.

Sil. E lo zelo non mancò mai di guiderdone, siate dunque il servo ben venuto di un’indegna signora.

Prot. Chiunque altro osasse dirlo morrebbe di mia mano.

Sil. Che voi siete il benvenuto?

Prot. No; che voi siete indegna. (entra un domestico)

Dom. Signora, il duca vostro padre vorrebbe parlarvi.

Sil. Vado da lui. (il dom. esce) Venite, messer Turio, venite con me: una volta ancora siate il ben arrivato, o mio nuovo servo: vi lascio per conferire sulle cose di casa vostra; quando avrete finito spero di rivedervi.

Prot. Seguiremo entrambi Vostra Signoria. (escono Sil. Tur. e Speed)

Val. Ora dimmi come stanno tutti gli amici del luogo da cui vieni.

Prot. I tuoi stan bene, e mi commisero mille saluti per te.

Val. E i tuoi?

Prot. Li lasciai tutti in ottima salute.