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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, V-VI.djvu/601

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202 TROILO E CRESSIDA


ATTO PRIMO


SCENA I

Troia - Dinanzi al palazzo di Priamo.

Entrano Troilo armato e Pandaro

Troil. Chiama il mio scudiere: vuo’ togliermi queste armi di dosso. Perchè debbo io guerreggiare fuori delle mura di Troia, quando ho a sostenere combattimenti sì crudeli qui nel mio seno? Il Troiano che è signore di sè vada al campo; il cuore di Troilo, oimè! non gli appartiene più.

Pan. Dovrò io intendere sempre questi lagni?

Troil. I Greci son destri al par che forti, fieri quanto abili, prodi al par che fieri. Ma io, io sono più debole delle lagrime di una donna, più pacifico del sonno, più stolto dell’ignoranza. Io son meno valente che non è una fanciulla fra le tenebre della notte, e più inesperto di un bambino di latte.

Pan. Via, dissi abbastanza, e nulla aggiungerò. Chi vuol raccogliere il grano è forza aspetti la mietitura.

Troil. Non ho io aspettato?

Pan. Non quanto basta.

Troil. Troppo ho aspettato.

Pan. Tale impazienza è stolta: quando si mangiano le vivande, allorchè scottano, si corre rischio di bruciarsi le labbra.

Troil. La pazienza stessa, sebbene Dea, soffre con minor moderazione di me. Io mi assido alla regia mensa di Priamo, e allorchè la bella Cressida mi apparisce..... mi apparisce? Che dico io insensato! Quand’è mai ch’io non l’abbia dinanzi?

Pan. Ieri sera ella mi sembrò più bella dell’usato; più bella di ogni altra donna, ch’io abbia vista.

Troil. Voleva dirti... che quando il mio cuore aperto come da un violento sospiro stava per iscoppiare, nella tema che Ettore, o mio padre non mi sorprendessero, ho nascosto quel sospiro sotto le apparenze di un sorriso; così sorride il sole allorchè rischiara un nembo: ma il dolore cui vela un’apparente gaiezza è come una gioia che il destino muta di subito in rammarico.