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ATTO TERZO 239

SCENA III.

Il campo Greco.

Entrano Agamennone, Ulisse, Diomede, Nestobe, Ajace, Menelao e Calcante.

Cal. Principe, le cose nostre mi obbligano a parlare, e a reclamare la ricompensa del servigio che vi ho reso. Debbo rammentarvi che, grazie al mio talento di leggere nell’avvenire, ha abbandonata Troia a Giove, ho perduta ogni mia dovizia, e chiamato sono stato traditore, soggettandomi a una incerta sorte invece dei vantaggi e della fortuna di cui ero sicuro possessore, e per divenirvi utile ho rinunciato agli amici, e a tutti quegli agi che l’abitudine aveva fatti così necessarii per me. Vi prego quindi di farmi presentire i vostri beneficii con qualche grazia, che garante mi sia delle ricompense dell’avvenire.

Ag. Che desideri da noi, Troiano? Fa la tua dimanda.

Cal. Voi avete un troiano prigioniero, chiamato Antenore che prendeste ieri: Troia collega molto prezzo alla di lui persona. Voi avete molte volte (e ricevetene i miei ringraziamenti) chiesta mia figlia Cressida in cambio d’illustri captivi che Troia v’ha sempre rifiutati: ma quest’Antenore, lo so, è loro così necessario, che tutti i loro negoziati senza la di lui abilità verranno meno ed essi darebbero forse un principe del sangue reale, uno dei figli di Priamo, per riavere costui. Rimandatelo, guerrieri illustri, nella sua città, ed ei serva di riscatto a mia figlia, la di cui presenza vi sdebiterà d’ogni servigio ch’io avessi potuto rendervi.

Ag. Diomede lo riconduca a Troia e guidi a noi Cressida: Calcante otterrà quanto impetra. — Nobile Diomede, apprestatevi a concludere con onore tal cambio, e annunziate di più a Troia, che se Ettore brama dimani far prova di sè, Ajace gli andrà incontro.

Diom. Codesto farò, ed è messaggio di cui mi glorio.

(esce con Calcante. Achille e Patroclo compariscono dinanzi alle loro tende)

Ul. Veggo Achille all’entrata della sua tenda: passiamogli dinanzi con aspetto indifferente, come s’ei fosse obbliato da noi, e voi, principi, guardatelo tutti senza porgergli alcuna attenzione. Io passerò ultimo, ed è facile che mi fermi per chiedermi