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ATTO QUINTO 261


Cres. Udite una parola all’orecchio.

Troil. Oh ira atroce!

Ul. Voi siete commosso, principe: usciamo, te ne prego, per tema che il vostro cruccio non irrompa in grida forsennate: questo luogo è pericoloso; l’ora è fatale; ve ne scongiuro, usciamo.

Troil. Vediamo, lasciatemi.

Ul. Usciamo, signore; andrete incontro alla vostra morte: venite.

Troil. Te ne prego, rimani Ul. Voi non avete pazienza; venite.

Troil. Restate, ve ne supplico: per l’inferno, e per tutti i tormenti dell’inferno, non dirò più una parola!

Diom. Ora dunque, buona notte.

Cres. Voi mi lasciate con sdegno?

Troil. Ti affliggi dì ciò? Oh fede corrotta!

Ul. Vedete dunque...

Troil. Per Giove! sarò paziente.

Cres. Caro custode... caro Greco.

Diom. Addio; voi mi schernite.

Cres. No, in verità; tornate qui.

Ul. Voi fremete, signore; andiamo: non vi conterrete.

Troil. Ella si percuote le guancie!

Ul. Venite, venite.

Troil. No, fermati; per Giove! non parlerò più: vi è fra il voler mio e tutte le offese un baloardo di pazienza insormontabile: fermiamoci anche un poco.

Ter. Come il demone della lussuria, colle sue dita di patata li solletica entrambi! A che riescirà?

Diom. Volete dunque?...

Cres. Sì, in verità: se no, non vi fidate mai più di me.

Diom. Datemi qualche garanzia di ciò: datemi qualche pegno.

Cres. Vado a cercarne uno. (esce)

Ul. Avete giurato di esser paziente?

Troil. Non temete, signore: obblierò me stesso e quello che sento; son tutto pazienza. (rientra Cressida)

Ter. Ora il pegno; vediamo, vediamo!

Cres. Prendete, Diomede, conservate questa manica.

Troil. Oh bellezza! dove è la tua fede?

Ul. Signore...

Troil. Sarò paziente; lo sarò almeno al di fuori.

Cres. Voi guardate quella manica: esaminatela bene. — Egli mi amava teneramente! Oh fanciulla perfida! Restituitemela.