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306 È TUTTO BENE QUEL CHE A BEN RIESCE


ATTO TERZO


SCENA I.

Firenze. — Una stanza nel palazzo del duca.

Squillo di trombe. Entra il Duca di Firenze con seguito; due signori Francesi ed altri.

Duc. Così voi siete istruiti delle ragioni di questa guerra per cui si è già sparso tanto sangue, e per la quale tanto ancora se ne spargerà.

Signore. La contesa par sacra per Vostra Altezza; ma dalla parte de’ vostri nemici sembra iniqua e odiosa.

Duc. Ciò che mi stupisce è che il nostre cugino, il re di Francia possa in causa sì giusta chiudere il suo cuore alle nostre preghiere.

Signore. Mio nobile principe, io non potrei illuminarvi sui motivi del nostro governo, nè parlarne se non come uomo volgare, che, ignaro dei segreti dei re, vuole indovinarli, co’ suoi imperfetti criterii: non vi dirò dunque quel che ne penso; tanto più che ho errato nelle mie incerte congetture, tutte le volte che ho voluto farne.

Duc. Si comporti la Francia come vuole.

Signore. Sono però almeno sicuro, che la nostra gioventù francese, che è stanca di riposo, verrà qui in folla.

Duc. Sarà la bene accolta; e tutti gli onori che posso concedere io li verserò sopra di essa. Voi conoscete i vostri posti. Allorchè i primi dell’esercito cadono, è per vostro pro; la lor caduta innalza voi. — Dimani verrete sul campo. (squillo di trombe; escono)

SCENA II.

Rossiglione. Una stanza nel palazzo della Contessa.

Entrano la Contessa e il Villico.

Cont. Tutto è accaduto com’io avevo detto, tranne che egli non ritorna con lei.

Vil. In verità il mio giovine signore è un uomo molto malinconico.