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310 È TUTTO BENE QUEL CHE A BEN RIESCE


SCENA III.

Firenze. — Dinanzi al palazzo del Duca.

Squillo di trombe. Entrano il Duca di Firenze, Beltramo, signori, uffiziali, soldati ed altri.

Duc. Voi sarete il comandante della nostra cavalleria, e pieni delle più alte speranze nel successo che promettono le vostre armi, avrete uno dei primi posti nella nostra stima e nel nostro amore.

Bel. Principe, è un peso troppo grave per la mia debolezza, cui nondimeno, per provarvi la mia affezione, mi sforzerò di sostenere fino all’ultima estremità.

Duc. Partite dunque, e la fortuna vi secondi.

Bel. In questo giorno. Marte, io corro sotto le tue bandiere! Rendimi eguale soltanto ai voti miei, e avrai in me un amante della guerra, e un nemico dell’amore.

(escono)


SCENA IV.

Rossiglione. — Una stanza nel palazzo della Contessa.

Entrano la Contessa e il Maggiordomo.

Cont. Oimè! e perchè prendeste voi quella lettera? Non dovevate imaginarvi ch’ella voleva fare quello che ha fatto, dappoichè mi scriveva! Tornatela a leggere.

Magg. «Vado in pellegrinaggio fino a san Giacomo. Un amore ambizioso mi ha resa rea. Per espiare i miei falli con un santo voto camminerò a piedi ignudi sulla fredda terra. Affrettatevi, affrettatevi a scrivere, perchè il mio diletto signore, il figlio vostro, possa ritirarsi dalla sanguinosa via dei combattimenti. Benedite al suo ritorno, e goda egli presso di voi le dolcezze e della pace; intantochè io lontana, benedirò il suo nome fra le più ardenti preghiere. Ditegli di perdonarmi tutte le pene che gli ho causate. Son io che l’ho fatto partire da una Corte e in cui era amato, per esporre i giorni suoi in mezzo a un e campo nemico, dove il pericolo e la morte seguono l’orme degli eroi. Egli è troppo buono e troppo bello per essere mia vittima, vìttima della morte, ch’io piuttosto affronterò per lasciarlo libero»».

Cont. Oh Dio! quale amarezza esprimono anche le sue più