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366 LA MALA FEMMINA DOMATA


Pet. Oimè! buona Cattina, io non vi caricherò di soverchio; so bene che siete giovine e alacre.

Cat. Troppo alacre sono per poter andare in groppa ad una bestia quale siete voi.

Pet. Oh tortorella! e su qual groppa andrai dunque a posarti?

Cat. Una tortorella non sono, e le vostre frasi m’infastidiscono.

Pet. Sei dunque una vespa. Che altro potresti essere?

Cat. Se sono una vespa, temete il mio pungolo.

Pet. So un rimedio; è quello di strapparlo.

Cat. Sì, se poteste trovare il luogo dove sta.

Pet. Chi non sa dove la vespa ha il pungolo? È nella coda.

Cat. È invece nella lingua. Ma addio, sono stanca.

Pet. Fermatevi, Caterina; io sono un gentiluomo.

Cat. Vuo’ farne prova. (dandogli uno schiaffo)

Pet. Vi giuro che vi pentirete di ciò.

Cat. Se siete un gentiluomo non vi vendicherete contro una donna.

Pet. Davvero, Caterina, siete dotta in cavalleria. Vi prego di mettermi nel vostro blasone.

Cat. Quale stemma avete? Una cresta di gallo?

Pet. Un gallo senza cresta, e voi siete la mia gallina.

Cat. Voi non sarete il mio gallo: avete troppa inerzia.

Pet. Raddolcite, Caterina, quegli aspri sguardi.

Cat. Sono gli sguardi ch’io vibro sopra gli uccelli selvatici.

Pet. Ma qui non ve ne sono, onde raddolciteli.

Cat. Ve ne sono, ve ne sono.

Pet. Indicatemeli.

Cat. Se avessi uno specchio, ve li mostrerei.

Pet. Volete parlar di me?

Cat. Sì.

Pet. Per San Giorgio.....

Cat. Siete tutto aggrinzito.

Pet. Sono i dispiaceri.

Cat. Non me ne cale.

Pet. Ascoltatemi, Caterina: affè che non la passerete così.

Cat. Vi sdegnerete, se rimango di più: lasciatemi dunque partire.

Pet. No no: vi trovo anzi molto amabile. Mi aveano detto che eravate dispettosa, trista, torbida, e veggo ora che la fama mente, perocchè siete gioviale, piacevole, civile, dolce, come i fiori di primavera: voi non sapete neppure aggrottare il ciglio, nè guardar bieco, nè mordervi le labbra, come fanno le fanciulle