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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, VII.djvu/121

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112 LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE


Uff. Quest’uomo impazzisce, andiamo una volta, andiamo.

Ant. Guidatemi dove volete. (esce fra gli uffiziali)

Viol. Credo che le sue parole gli sian dettate da qualche forte passione. Egli crede ad una cosa, a cui io non credo più. Oh, così potessi avverarti, dolce illusione, ond’io fossi preso di nuovo pel mio amato fratello!

Tob. Avvicinati, cavaliere; avvicinati, Fabiano; noi ci susurreremo all’orecchio alcune saggie sentenze.

Viol. Egli ha nominato Sebastiano! So che mio fratello vive ancora nella mia imagine: io in tutto gli rassomiglio. Ed egli pure vestiva in questa guisa cogli stessi colori, colla pettinatura medesima, perch’io in tutto lo imito. Oh! se tal congettura riescisse alla realità, la tempesta sarebbe compassionevole, e i flutti potrebbero intenerirsi. (esce)

Tob. Quegli è un garzone senza onore, e più codardo di un cervo: la sua disonestà si appalesa nel lasciare un amico in bisogno senza soccorrerlo: quanto alla sua vigliaccheria basta interrogarne Fabiano.

Fab. È un codardo, uno dei maggiori codardi.

And. Affè, vuo’ corrergli dietro per batterlo.

Tob. Sì, fatelo, ma senza sguainare la spada.

And. Così farò. (esce)

Fab. Andiamo a vedere come finisce.

Tob. Scommetterei che non accadrà nulla. (escono)