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ATTO QUINTO 189

dato non mi sìa a conoscere piuttosto che lasciarlo perire. Tenera sorella, fu la fretta con cui gli venne inflitta la morte, che io mai non avrei potuto imaginare, che mandò a vuoto i miei divisamenti. Ma la pace sia con lui! La vita di cui egli gode non ha più tema di morte, ed è vita appo cui la nostra non appare che un sogno. Consolatevi coll’idea che vostro fratello è felice.

Is. È quello che fo, signore. (rientrano Angelo, Marianna, frate Pietro e il Prevosto)

Duc. Quanto a quel nuovo sposo che si avanza verso di noi, la di cui lasciva imaginazione ha oltraggiato il vostro onore quantunque sì ben difeso, voi dovete perdonargli in contemplazione di Marianna. Ma rispetto alla condanna che egli ha pronunziato contro vostro fratello, doppiamente reo in ciò per la doppia violazione, e della sacra castità, e della promessa fattavi di salvar Claudio, la clemenza stessa della legge chiede per tal opera ad alta voce, e per bocca dello stesso suo ministro: Angelo per Claudio, morte per morte; celerità per celerità, durezza per durezza, rappresaglia per rappresaglia e misura per misura. Ecco dunque. Angelo, il tuo delitto manifesto; e se anche tu volessi negarlo non potresti farlo con espediente alcuno. Noi ti condanniamo per questo a morire su quel medesimo patibolo in cui morì Claudio e colla stessa celerità. — Conducetelo al suo destino.

Mar. Oh! mio buono e pietoso sovrano, spero che non avrete voluto farvi giuoco di me, dandomi uno sposo per poi togliermelo tosto.

Duc. È il vostro sposo che si è fatto scherno di voi. Volendo redimere il vostro onore ho creduto il vostro matrimonio necessario, e perciò l’ho effettuato. Sebbene le sue ricchezze ricadano in noi per confisca, noi ve ne facciamo dono, ed esse diverranno la vostra dote di vedova, e vi faran trovare un più degno consorte.

Mar. Oh caro principe! non ne desidero nessun altro.

Duc. Non insistete; la mia determinazione è presa.

Mar. Mio buon signore..... (inginocchiandosi)

Duc. Sperdete invano le parole: ch’ei sia condotto a morte. — Ora, veniamone a voi, messere. (a Luc.)

Mar. Mio principe! Cara Isabella, seconda le mie preghiere, gettati con me alle sue ginocchia, e ti consacrerò tutta la mia vita avvenire.

Duc. Voi siete irragionevole infestandomi; se ella mi chiedesse grazia per questo delitto, l’ombra di suo fratello aprirebbe un abisso al disotto di lei, e la farebbe precipitare.

Mar. Isabella, cara Isabella, accordami quel ch’io ti chieggo,