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Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, VII.djvu/321

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312 LA NOVELLA D'INVERNO

Va ne scongiuro, prendete di lei la più tenera cura, e fate ogni sforzo per richiamarla in vita, (escono Er., Paol., e le Signore) Apollo, perdona alla mia sacrilega profanazione del tuo oracolo! Vuo’ riconciliarmi con Polissene: riamar come prima la mia regina, richiamar l’onesto Camillo ch’io volevo fare strumento di delitto contro un buon re, e che ogni ricchezza ha abbandonato piuttosto che commetter cosa non approvata dalla sua coscienza. (rientra Paolina)

Paol. Maledizione! Oh, aprite le mie vesti, per tema che il mio onore non iscoppi.

Sign. Da che deriva tal trasporto, buona signora?

Paol. Tiranno, quali tormenti hai tu in serbo per me? Quali ruote, quali torture, quali roghi? Parla, di’ qual supplizio novello o antico io debbo sofferire; ogni mia parola merita tutto ciò che il tuo furore ti può consigliare di più atroce. La tua tirannide s’è adoperata insieme colla tua gelosia; e chimere vane, insensate, inconcepibili han dato campo a mille malefizii. Poco era che tu avessi tradito Polissene, e mostrata un’anima incostante e ingrata come l’inferno; poco ancora che tu abbia tentato di contaminar l’onore del virtuoso Camillo, volendolo indurre all’omicidio d’un re; falli leggeri son questi in paragone dei falli mostruosi che li seguono. Per nulla io annovero l’aver tu dato alle belve la tua figlia innocente, quantunque anche un demonio avesse versate lagrime prima di compiere tal barbarie. A delitto non t’imputo la morte del figliuol tuo, i di cui sentimenti d’onore lo condussero sì per tempo al termine d’una travagliata vita. Di tutto ciò non ti accagiono; ma la sventura che sto per rivelarti è pure opera tua, e colpevole d’essa, non meriti che abbominìo ed esecrazione. — Oh voi tutti, allorchè annunziata ve l’avrò, gridate: orrore! La regina, quella tenera donna, quella donna amabile e sfortunata è morta, e la vendetta del Cielo non cade ancora!

Sign. Gli Dei nol vogliano!

Paol. Vi dico ch’ella è morta; lo giurerò, e se non credete nè alle mie parole, nè ai miei giuramenti, andate a mirarla: se potrete evocare il più lieve colorito sulle sue labbra, il più lieve splendor ne’ suoi occhi, il più piccolo calore sulle sue gote, e veder spirare dalla sua bocca il più lieve soffio, io mi consacro a servirvi, come farei gli Dei. Ma tu, tiranno, non pentirti di questi misfatti: essi son troppo al disopra di tutti i tuoi rimorsi; abbandonati alla sola disperazione. Quand’anche tu facessi mille preghiere in ginocchio per l’intervallo di secoli, nudo e in quotidiano