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88 LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE


Mar. Veramente, signore, egli è qualche volta una specie di puritano.

And. Oh! s’io l’avessi creduto, l’avrei battuto come un mastino.

Tob. Che? Per essere un puritano? La tua sublime ragione, caro cavaliere?

And. Non ho ragioni sublimi per ciò, ma ne ho buone abbastanza.

Mar. È un demonio di puritano, o una specie d’uomo che sa molto bene adattarsi alle circostanze: uno sciocco pieno d’affettazione che ha appresi a memoria gli affari dello Stato e se ne fa bello come cosa imparata sui libri: un uomo che ha la più alta opinione di sè, e che si reputa sì pieno di celesti doti, che è divenuto per lui di fede, che non si possa vederlo senza amarlo: è per quest’ultima presunzione ch’io lo punirò.

Tob. Che farai?

Mar. Porrò sulla sua via qualche epistola d’amore in istile oscuro ed incerto, ma nella quale al colore della sua barba, alla forma delle sue gambe, al suo portamento, all’espressione dei suoi occhi, alla sua tinta, alla sua fronte, egli crederà di riconoscere se stesso. So scrivere come fa vostra nipote, e sarebbe difficile anche a noi il distinguere il nostro carattere in una lettera che avessimo vergato e della quale non ci ricordassimo più.

Tob. Ottimamente! Intravvedo la frode.

And. Io pur la fiuto.

Tob. Egli crederà dalla vostra lettera che mia nipote sia innamorata di lui.

Mar. Tale è il mio divisamente.

And. E diverrà un ciuco.

Mar. Ciuco non ne dubito.

And. Cosa ammirabile.

Mar. Sollazzo regio, ve ne assicuro: la mia medicina opererà sopra di esso. Vi metterò entrambi in imboscata, e il pazzo farà il terzo, dove troverà la lettera: osserverete allora come egli rinterpreterà. Per questa notte andiamo a riposarci e a vagheggiare il nostro disegno. Addio.

Tob. Buona notte, Pentalisea. (Mar. esce)

And. È una cara giovine in fede.

Tob. Un’eccellente fanciulla, e che mi adora. Che ne dite?

And. Io pure sono stato adorato.

Tob. Andiamo a letto, cavaliere. — Tu avrai bisogno di mandar a chiedere di nuovo denaro.