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cecchin salviati 151

le bellezze dei luoghi, e viaggiano a piedi; e poi ne conosco parecchi. Oh! ne son venuti molti di fuori via da qualche tempo in quà; e più che altro dopo l’assedio di quella sventurata città di Firenze! — E voi li conoscete quelli che son venuti da Firenze? — Per nome no, fuorchè uno che abita appunto in questa strada, e che potrebbe, cred’io, darvi l’alloggio che voi bramate. — Benissimo; e come si chiama? — Cecchin Salviati. — Cecchin Salviati! non lo conosco. E dite che è venuto proprio di Firenze?. — Così mi diceva egli stesso, e gli si legge in faccia che deve aver patito le strettezze di un assedio. Qualche volta viene a cena da me, una cena che a voi non toccherebbe un dente; e vuole anzi che gli dia contezza di tutti i pittori che si fermano all’osteria. Gli parlerò anche di voi, se mi dite chi siete. — Ebbene! conducetemi a lui; mi vedrà da sè; e intanto, mi conosca o no, la sua stanza sarà a proposito per riposare un poco le mie povere gambe. Tanto, fra noi siamo tutti fratelli, e l’ospitalità dei pittori è passata in proverbio. — Vi ci accompagnerei volentieri se non fossi solo, rispose l’oste; ma non importa. La casa ove dovete andare è l’ultima che fa cantonata a un vicolo dalla mia parte, andando in su a destra. — Ho capito; e il pittore si chiama...? — Cecchin Salviati. — E giovine? — Avrà qualche anno più di voi; e macilento, accigliato... — Addio, gli disse il pittore,» e barcollon-barcolloni uscì dall’osteria.

Giunto alla casa additata picchiò, e un garzon-