Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/10

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to lo sguardo alla sua effigie, che stava appesa nel mezzo della parete in tali accenti proruppi.

Deh, se alla mia voce è dato l’aggiungere sino a te, o cittadino della patria celeste, non isdegna, mosso da quella pietà per cui sì caro ti rendesti a’ tuoi contemporanei, ed a’ tuoi posteri sì rispettato, di rischiarare la mia mente, e trarla della dubitazione in cui stassi avviluppata! Voglimi istruire, se questa felicità, che sempre odo suonare sulle labbra degli uomini, ed il cui balsamo sì di rado ristora le loro anime, siasi un essere reale, o una larva menzognera, che colle sue vaghe sembianze ci alletta avidamente a seguirla, senza che mai ci venga fatto di afferrarla. Dimmi, se come me son tutti gli uomini condannati a vivere nel dolore, ed a non truovare ristoro alle loro sciagure, che nell’obblio dell’esistenza; e quindi costretti sieno ad adorare il sonno quasi nume benefico, che li toglie di mano alle cure laceratrici. Che se tanto infelice essersi dovesse l’umana condizione, che se destinato fosse ch’io viver dovessi in avvenire giorni del pari funesti che li passati, io rivolgo a te le mie più fervide preci, perchè tu m’implori dal sommo Creatore, il termine de’ miei mali, permettendo che il sonno del-


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