Pagina:Saggio sulla felicità.djvu/42

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litto. Che giova l’adagiarsi sovra letto di rose, se da sottile capello pende sul capo sguainata la spada? Crede forse costui, che quantunque tardo pur non lo attenda il meritato gastigo? Crede forse, che novella esistenza, non debba avere la poca terra, che lo informa oggidì, quando per mano di morte verrà altramenti modificata? Se tale si è la sua speranza, sarà delusa. Noi tutti corriamo ad una stessa meta. L’urna capace s’agita per tutti imparziale, ed essa di tutti il nome contiene. La pallida morte batte con pari piede alla porta del ricco, nelle cui estese campagne pascono innumerevoli gli armenti, ed all’umile capanna del villanello, che fra gli stenti, e i sudori si procaccia lo scarso alimento. Quantunque penda irresoluta ragione, pure il sentimento dal profondo del cuore ci grida, che la nostra anima è immortale, che vi ha un Dio buono premiatore dell’uomo dabbene, ed un Dio giusto punitore dello scellerato. Non è possibile, che la sede di affetti sì nobili, e gentili, che un cuore il qual sembra nato sol per amare, che felice soltanto allora si chiama, che può porgere qualche sollievo all’infelice, no non è possibile, che un essere sì dagli altri tutti diverso, che tanto gli avvanza in sottigliezza d’in-


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