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e letti già sono occupatissime da’ forestieri; e perciò pel vostro migliore andatevene con Dio, e non mi vogliate più là stuzzicare». Carletto, a cui nulla o punto garbava la risposta dell’Oste, si pose a scongiurarlo tuttavia, dicendogli che gli volesse aprire, che poi quando d’altro nol potea contentare, bastevolmente sarebbe egli pago rimasto se una qualche piccola cena apprestato gli avesse. Il che udendo lasciollo entrare e, isso fatto, gliela ebbe apparecchiata.

Seduto perciò a tavola che e’ fu, gran diceria tenne. Ma Giannetto, che voglia non forse meno di Carletto d’andare a letto si sentia, ricominciogli di dire: «Caro amico, or che cenato v’avete, come il resto della notte volete voi passarvi, se letto alcuno ozioso non c’è? poiché in quella stanza due mercatanti giaccionsi a dormire, là altri due signori, ed in questa poi, che è privilegiata, ci sta l’Arciprete di Lazise mio Compare, uomo dilicatissimo, amante di solitudine e pulitezza quanto mai altro». «Buon per me allora - Carletto, astutamente rottogli l’uovo in bocca, disse: «L’Arciprete mio qui entro giace? Cacalocchio! Bella cosa affé saria che se a lui non me ne andassi, giacché mio amicissimo egli è, e domani molto a male sel terria, quando a risapere venisse ch’io qui mi sono stato senza di lui far menzione. Perché vi prego volermi ad esso guidare, che assai volontieri

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